Venerdì notte. Milano. A Le Cannibale sta per iniziare il set dei Simian Mobile Disco e in una città desertificata dalla mancanza di mezzi pubblici, raggiungo Jas Shaw nella hall dell’albergo dove mi aspetta per quella che si rivelerà essere una piacevolissima chiacchierata tra (quasi) amici. A voi il resoconto.
La prima cosa che gli chiedo è di presentarsi alla nostra maniera, raccontandoci in cosa è impegnato in questo momento della sua vita. ”Abbiamo appena rilasciato un album registrato live, in genere ci mettiamo un sacco di tempo per fare un album del genere, ma era un modo per sintetizzare quello che facciamo ogni giorno. Quando abbiamo iniziato a registrarlo, pensavamo di mettere insieme le tracce dei nostri passati live show, ma quando abbiamo iniziato a farlo concretamente ci siamo resi conto che non era così facile perché suonavano molto diverse tra di loro; è stato registrato a Philadelphia, l’idea era quella di riunire tutto in una gig, documentare il nostro lavoro in una sessione one shot”. Mi sorge spontaneo chiedergli se l’intenzione era anche quella di registrare le reazioni del pubblico: ”Non esattamente. Era stato tutto organizzato, non è stato come appoggiare un registratore sul tavolo intanto che suonavamo, per cui anche il pubblico era presente ma non particolarmente invadente. La qualità del suono in mezzo alla folla in genere è bassa e disturbata, qui abbiamo cercato di non fare entrare troppo le persone nella registrazione, ma piuttosto di testimoniarne la partecipazione come in una sorta di documentario (gli dicevamo ”gente, non adesso” – “dopo, adesso fate meno rumore”)”. Cominciamo a scherzare sul fatto che hanno messo su una sorta di sit-com dove già sapevi quando ridere o applaudire, per poi passare alla domanda “Come mai avete preferito la formula del live e non quella dell’album classico?”. “Perché il nostro ultimo album è uscito l’anno scorso e non volevamo riproporre qualcosa di tradizionale. Eravamo così eccitati nel 2012 di rilasciare un nuovo lavoro che quest’anno non eravamo interessati a rifarlo. Comporre un album vuol dire mettere insieme un blocco di tracce, stringere collaborazioni; abbiamo preferito la strada del live per immortalare un momento preciso, cercando in esso anche un senso critico“.
Dopo aver a lungo chiacchierato di Live, ci immergiamo in una serie di riflessioni sul percorso altalenante della loro musica, che ha esplorato generi che non hanno spesso alcun punto di contatto tra loro. Jas risponde bel volentieri, come se non aspettasse altro che questa considerazione: ”Fa parte del modo in cui lavoriamo! Quando produci qualcosa e poi torni in studio a comporre un album, cerchi sempre di fare qualcosa di nuovo, anche senza avere idea di cosa ne verrà fuori. Andare in studio e vedere cosa succede, sperimentare per non essere sempre uguali è la parte più bella di questo lavoro. Negli ultimi due o tre anni abbiamo girato un sacco come dj nei club underground e questo ci ha esposto a parecchia musica che non conoscevamo; ci è venuto naturale mettere insieme le nostre esperienze e vedere cosa ne sarebbe derivato“. “Quindi siete stati più influenzati dai festival o dai club frequentati che da certi nomi della scena?”: “Da entrambi. È molto diverso ascoltare musica o in un club o a casa propria, soprattutto per il casino, la gente, gli after party. Trovo molto più eccitante andare nei club e fruire la musica tra la folla”.
Mi viene in mente quando nel 2007 hanno supportato il concerto dei Chemical Brothers al Brighton Center (situazione tutt’altro che intima) e finiamo a parlare dei ricordi legati a quell’esperienza e degli ambienti in cui preferiscono suonare attualmente. Parto con una riflessione sulle differenze di pubblico che animano un club o un festival, dove le urgenze da soddisfare sono molto diverse così come le sperimentazioni concesse. “Per le ragioni che hai appena detto preferisco i piccoli club, dove ci sono meno persone, ma che ti danno la possibilità di provare cose più interessanti perché non devi di soddisfare le orecchie di migliaia di persone. Durante i festival vedi un sacco di gente, ma spesso le persone sono lì per fare del turismo, non sanno neanche chi sei; nei piccoli club tu sai che sono lì per te, e conoscono la tua musica.”
Incuriosita, gli chiedo quali sono i nuovi generi o artisti ai quali sta porgendo un orecchio di riguardo. “Più che ai nuovi nomi, sto guardando tanto alle reincarnazioni artistiche dei vecchi. L’ UK Bass trovo stia vivendo un periodo florido, è molto influenzata dalla techno ultimamente, è una manna dal cielo perché io la amo. Prendi Blawan: slow bpm, musica scura; la techno era diventata tradizionale, ma grazie a queste influenze di bass music c’è più varietà, più confronto, più apertura.” “Un bene per voi che avete fatto un album completamente techno! Avevate colto la tendenza prima degli altri?” “No, è stata solo fortuna, o il caso se vogliamo. Tutti siamo a fasi alterne di moda e fuori moda, ma nessuno può prevedere un trend, puoi solo tentare e vedere come va. Tempo di finire un album che è già passato di moda; l’importante è seguire il tuo personale filo logico“.
Il discorso si sposta sull’asse del filone pop e cominciamo a parlare delle collaborazioni passate che li hanno visti protagonisti accanto ad artisti come Beth Ditto o Alexis Taylor. “Avete considerato la possibilità di nuove featuring in questo senso oppure procederete in una direzione più asettica e personale com’è avvenuto con Unpatterns? Avete già programmato un singolo con gli AlunaGeorge (battutona)?” “Not really” – mi risponde col suo affascinantissimo accento inglese – “Sono onesto! In compenso sto buttando l’occhio su un sacco di vocalist. Da Temporary Pleasure abbiamo imparato l’importanza della forma canzone in senso tradizionale, ma adesso stiamo esplorando nuove strade. I vocals danno una dimensione molto tradizionale alle tracce, siamo cresciuti tutti con le band, i testi, le liriche, non è che non mi piacciano, ma in questo momento cerchiamo di fare un elettronica più astratta e con i vocalist non è possibile, a meno di prendere solo due parole e tagliare tutte le altre (ride)“. Riagganciandomi alla serata in cui abbiamo avuto come ospite Little Boots, gli chiedo se si stia concentrando solo sul futuro dei SMD o se come James è invece impegnato anche nella produzione di altri artisti. “Of course, amo passare intere sessioni in studio con la mia tazza di thè! James è via da tre mesi perché sta lavorando con una band, non posso dire quale, io invece sono in studio a lavorare alla produzione di alcuni nomi noti. Ho appena mixato il disco di Gold Panda!”
Come ogni intervista di Shaq che si rispetti gli chiedo di consigliarci un artista che non possiamo perdere per niente al mondo. Senza troppo rifletterci, mi spara un nome a colpo sicuro. “Cosmin TRG, non so se è già uscita la sua ultima release, Gordian! È edita dalla sublabel di Modeselektor, la 50weapons.”
Il tempo è terminato: l’intervista si trasforma in pacche sulla spalla parlando di delicacies e di fritto misto alla piemontese. Peccato partisse subito, l’avremmo portato volentieri il giorno dopo da Oscar per una full immersion di politica&carbonara.