Pensare che neanche dovevo rimanere a vederlo questo film. Ero fuori al teatro Piccolo, Nicola insiste perchè io entri con lui a guardare il lungometraggio di apertura del festival Mix sul cinema gay e lesbo che si tiene ogni anno qui a Milano. Tentenno di fronte agli 8 euro di biglietto convinta che sia la solita menata drammatica su omosessuali sieropositivi provati dalla vita, rifiutati dalla famiglia, emarginati da una società claustrofobica, etc etc. Poi leggo il titolo sul programma che ho in mano, ”Les amours imaginaires”, mi intriga. Proseguo, ci sono il cast e la regia, non mi dicono niente. Ma quando vedo citati Jules e Jim (si, proprio loro, quelli del film di Truffault) e un inaspettato Louis Garrel, non ho più dubbi: è bene che io entri.
Mentre mi sistemo sulla mia poltroncina di velluto rosso, mi viene in mente inevitabilmente “The Dreamers“. I protagonisti sono i tre angoli di una combinazione amorosa non meglio definita, due uomini e una donna, bellocci e intellettuali, liberi dalla necessità di dare per forza un nome al loro legame. Perfetto, scordatevelo completamente.
Les Amours Imaginaires è un film arioso, palpitante, è caustico, ma non vuole farti male. E’ la storia leggera di due amici, una ragazza sui 25 e un gay sulla ventina, innamorati platonicamente dello stesso ragazzo, una sorta di cherubino dalla personalità eclettica e sfuggente. Nessuno dei due ha il coraggio di rivelarsi e Nicolas, il cherubino appunto, ha la gran bella faccia tosta di provocare entrambi con i suoi modi naturalmente ammiccanti, senza mai mostrare però un interesse sincero nei confronti di alcuno. I due amici si perdono e si ritrovano, senza mai darsi troppe spiegazioni, e nel frattempo perdono il biondo angelo che li ha fatti litigare, che vada a farsi bruciare.
La storia sarebbe di una banalità esasperante se non fosse gestita magistralmente dal suo giovanissimo regista franco-canadese Xavier Dolan, appena 21 anni, e già per la seconda volta premiato al festival di Cannes, nell’ultima edizione nella sezione Un certain regard.
Un certo sguardo appunto, che contraddistingue il film dall’inizio alla fine per l’attenzione ai dettagli, per le battute brillanti, per l’ironia tagliente e amara, per la bellezza dei suoi colori, tenui e delicati e poi d’improvviso acidi e accecanti. L’atmosfera è quella da film francese anni 70, l’azione è lenta e sempre accompagnata dalla sua musica, così che tu spettatore possa immergerti nelle immagini appena senti quella nota che avevi già ascoltato nella prima scena. Se poi siete perdutamente innamorati di tutto ciò che ha un certo stile retrò e la vostra domenica ideale è quella trascorsa a spulciare pezzi vintage tra le viuzze soleggiate di Brera, questo film vi farà letteralmente cadere ai suoi piedi.
Immaginate una serie di polaroid, a volte dall’aria anche un pò poser, tenere e forti, sapientemente messe in fila per creare una storia delicata e poetica, così belle da farvi venire voglia di organizzare una gita in campagna solo per il gusto di sorseggiare succo di mirtillo rosso su tovaglie di carta vichy.
Preparate gli zaini, tanto Louis Garrel compare solo alla fine del film.