Vi avevamo dato la notizia dell’apertura del primo Rough Trade Shop a NYC e siamo andati all’apertura per raccontarvelo…
Arrivi e te lo trovi davanti così, senza preavviso, vista Manhattan, nel bel mezzo di Hipsterland. Rough Trade Shop sbarca oltreoceano e lo fa in grande stile, basta per altro guardarti un minimo intorno prima d’entrare e non fai fatica a capire come da Londra si sia andati a finire proprio a Williamsburg.
Lo shop è davvero fico, un ex deposito di attrezzi di scena che fa da perfetta cornice alla vastissima collezione di vinili e non presente. Ce n’è per tutti i gusti, dai quasi scontati Arcade Fire, Churches, Moderat e Darkside (per altro uno dei dischi dell’anno secondo autorevole parere) alle sorprese Omar Souleyman, e Enter The Wu Tang Clan (che compie 20 anni ed ,a proposito, vi saluta dalla mia cameretta).Vinili, CD, box completo dei The Clash, esibizione di drum machine e pad al primo piano, il secondo, più piccolo, è dedicato esclusivamente ai libri. Un perfetto pezzo di Gran Bretagna trasferito negli USA, un angolo musicale da noi tanto invidiato; cappellini Carhartt quasi obbligatori come l’acquisto del CD di Sky Ferreira per poter accedere alla sua esibizione. Penso che poteva andarmi peggio, e che 8 dollari sono in fin dei conti buoni. Lei è lì che canta, io la amo, ma questa è un’altra storia, sembra imbarazzata, ma magari è solo la droga. È la prima volta che la sento cantar dal vivo, e non delude. La “sala eventi” è una figata, un perfetto assemblaggio underground, dove trovo Ricky Russo, triestino trapiantato a Brooklyn che mi fa capire un po’ di cose sul posto: “Sei a Williamsburg, cosa ti aspettavi?” rispondendo alla mia domanda sulla predominante presenza di occhiali tondi e skinny jeans. Dopo l’esibizione potresti far la fila per l’autografo di Sky, ma una fila cosi lunga solo per chiederle di sposarmi mi sembra troppo e desisto. Dopo il break è il tempo di Charles Bradley, intenso da far piangere alcune ragazze presenti in sala, con vestito (e voce) alla James Brown incorporato.
Finito lo show lo store è ancora aperto, ma non è rimasto poi troppo, io ho la schiena a pezzi e dopo l’ultimo sguardo vado via, carico di gelosia, pensando che la stessa fame di musica che hai appena visto esiste anche in Italia, ma con occasioni di saziarla dimezzate, e non solo per la grandezza della nazione. Pensi che mentre NY corre veloce, qualcuno s’è fermato ad aprire uno spazio dedicato alla musica, solo ed esclusivamente alla musica, e citando di nuovo il mio amico Ricky (che a sto punto dovrò pur salutare) “Appena entri da Rough Trade NYC ti dimentichi che fuori c’è un cold world fatto di mp3 & ostilità.”
Esco e vedo di nuovo lo skyline di Manhattan. Grazie Italia, again.