Eviterò di giocare anche solo una mano a “Indovina chi è Burial“, non vincevo a “Indovina chi?”, figuriamoci se riesco a vincere qui. Dal momento in cui ho elevato a miei miti personali due mangiarane con i caschi in testa in tutta sincerità di sapere chi sono i Burial (ecco ci sono cascato ho lasciato un altro indizio) m’interessa poco, conta il prodotto, la musica, la qualità, l’ idea. E, per il secondo Natale di fila, l’idea è soffice neve candida che traccia ora più che mai un solco tra ciò che Burial è stato e ciò che Burial sarà: quasi pop, in un approccio facile, ma non semplicistico, di livello eccelso e incensante. Nella prima traccia arriva un drum tra “Unfinished Simphaty” dei Massive Attack e i breakbeat da dancefloor dei primi Stanton Warrior. Proseguendo nei 27 minuti d’infinità rosea dolcezza, ci vengono regalati suoni da sogno e sogni per suoni, per la prima volta in tanti anni di/dei Burial viene esplorata la forma canzone nella strutturazione della traccia, costruita in maniera simmetrica ai samples di voce, eterei come sirene incantatrici, echi di suggestioni lontane. Se prima abbiamo sempre parlato di urbanità, nebbia e acciaio, da oggi parliamo di neve sottile, nebulosa e freddi colori in tonalità pastello, fino a “Come down to us”. Qui rivivono attimi fuggenti e struggenti, dove le sinapsi dei ricordi viaggiano incontrollate verso gioie per chi le ha messe via o verso dolori ancora vivi, ricordandoci presenze, amori ed affetti perduti quasi fosse una preghiera, un saluto, un commiato.
Ok, ho finito. Lo so, non ho parlato di passera, è che non ho capito quanto il genere femminile apprezzi veramente Burial ma questa potrebbe essere la svolta decisiva. Posso solo dirvi che “Rival Dealer” è un capolavoro assoluto dell’arte contemporanea e buon Natale, che in questo periodo, è di rito.