Foto di Flavia Eleonora Tullio per DLSO.
“Earthbeat” non è un album come gli altri, poche chiacchiere. È il secondo disco dei Be Forest, tecnicamente quello più difficile nella carriera di un artista, come sostiene anche il capobanda dei balli in Puglia, soprattutto se c’è l’impressione che una parte della critica stia aspettando il flop della band per dimostrare che la scena di Pesaro è fuoco di paglia, che il quarto disco italiano in pochi mesi finito sui siti musicali più importanti del globo (insieme a His Clancyness, Brothers in Law e Soviet Soviet) sia una casualità e non una risposta importante a coloro che ancora pensano che dall’Italia è possibile far musica solo per gli italiani.
Due anni sono passati dall’esordio: «Cold è stato realizzato in pochissimo tempo. Abbiam scritto le canzoni, le abbiam registrate, senza troppo starci a ragionare su. Cold è istinto puro, è l’inizio, son persone che si trovano insieme e mettono su qualcosa che rappresenti la loro urgenza. Questo è quello che era due anni fa il nostro approccio, la nostra maniera di vivere la musica, ma negli ultimi due anni abbiam cercato di capire chi o cosa fossimo, di trovare una via che fosse nostra, una sorta di equilibrio».
Il concetto di equilibrio torna spesso durante la chiacchierata, nodo dell’album e nella ricerca dell’identità della band: «Se Cold prediligeva suoni freddi e istinto compositivo, in Earthbeat c’è un’attenzione particolare verso i suoni caldi, uno spettro sonoro più equilibrato, potente e complesso, una maniera di comporre più ragionata. Non è stato semplice scriverlo, ne volevamo che lo fosse. Abbiam ragionato pezzo per pezzo, parte per parte. Abbiam registrato la parte analogica del disco e ci siam fermati, ci abbiam ragionato e siamo andati avanti con la parte elettronica. Abbiamo tolto e messo, lavorato sulla post produzione, abbiamo risuonato e riarrangiato, abbiamo studiato, per cercare un equilibrio tra quei suoni, tra la chiave di lettura romantica e quella analitica, per trovare un nostro equilibrio come band. Alla fine del percorso possiam dire che adesso forse abbiam capito cosa siamo». Sì, perché Erica, Costanza e Nicola hanno ognuno la propria storia: «Non abbiamo gusti in comune, eccetto, che ne so, gli XX o cose monumentali come i These New Puritans, ognuno di noi ascolta generi e cose estremamente diverse, arricchisce Earthbeat alla sua maniera». La cosa è evidente quando chiedo quali siano i pezzi che prediligono dell’album e ognuno di loro ne ha uno diverso. «Di certo “Captured Heart” è il pezzo giusto per entrare nell’album, la sua chiave di lettura. C’è un pochino tutto quello che potrebbe essere, apre le strade a possibilità infinite, esce dalla logica del primo album, dalla quale ci volevamo affrancare. Volevamo fare qualcosa di diverso, per noi stessi, perché scriviamo ancora senza troppe pressioni dall’esterno, l’unica pressione vera era la volontà di non ripetersi, di non scrivere un album che non ci rappresentasse, che rappresentasse i Be Forest di due anni fa. Ghost Dance e Totem II rappresentano perfettamente la nostra dichiarazione di intenti, anche se crediamo che fondamentalmente questo sia un album che va ascoltato da cima a fondo per comprenderne la forza, che necessiti di più di un ascolto per entrarci dentro pienamente, sebbene la logica della fruizione musicale imponga la necessità di decontestualizzare i singoli».
Nel disco tanta, tantissima roba e riferimenti, un uso tribale di ritmiche care alle batterie soniche americane degli anni 90, chitarre impeccabili, voce e sintetizzatori sugli scudi. Io ci sento dentro Big Country, Stone Roses, Metronomy, The xx, Wild Beasts, Slowdive, Cocteau Twins, etc «Noi siam felici che le persone ci sentano dentro un mucchio di cose che ci piacciono che magari scopriamo dopo che ce le hanno consigliate ascoltando i nostri pezzi. In realtà c’è tutta quella roba li ma anche tanto altro, diciamo che ci son dentro cose che magari non sono così immediate o forse si, Erica durante la registrazione dell’album ascoltava Fela Kuti, per intenderci.
Speriamo vivamente che quest’album spiazzi, non siamo terrorizzati dalle critiche, abbiam la giusta paura, che ci
porteremo dietro come al solito fino alla fine del tour di presentazione del disco, siam curiosi della reazione della gente, questo è sicuro e comunque non sarà il nostro ultimo disco, è solo il secondo. In ogni caso c’è tanto tempo per crescere e fare sempre meglio».
E se le premesse al meglio son queste, non rimane che guardare al futuro con propositi ottimistici. Scettici zittiti, questo è, inmyhonestopinion, disco della madonna, che sarà commento poco giornalistico, ma rende l’idea sulla fascinazione che “Earthbeat” ha avuto sul sottoscritto.
Consigliato, consigliatissimo.