Oggi, 7 febbraio 2014, James Dewitt Yancey, meglio noto come Jay Dee o J Dilla, una delle personalità più importanti della storia dell’hip hop (e non solo), avrebbe compiuto quarant’anni, e chissà quale grandiosa musica avrebbe suonato per celebrare questo evento.
Sulla sua morte, avvenuta appena tre giorni dopo il suo trentaduesimo compleanno, il 10 febbraio del 2006, sono state giustamente spese molte sofferte parole, anche dal sottoscritto. Avevo scritto: “Jay Dee è un genio della black music, uno di quelli che con il “suo” suono è riuscito a cambiare “il” suono”. Non me lo ricordavo, francamente; l’ho riletta per caso, mentre scrivevo questo breve omaggio. Ebbene, per quel che può valere, credo di non aver mai scritto una frase migliore. Il fatto è che la sua musica continua a suonare vivissima, oggi più che mai, in una specie di dimensione fuori dal tempo e dallo spazio. E quindi celebrarla non fa mai male.
Oggi che J Dilla è ovunque – vi basti ascoltare un qualsiasi pezzo di hip hop sperimentale o di elettronica in bassa battuta, con quella tipica quantizzazione delle batterie e quello swing accentuato – tornare ad ascoltare l’originale, nelle prime come nelle ultime produzioni, è proprio constatare non solo e non tanto la sua enorme e chiarissima influenza, quanto rendersi conto di come Jay Dee sia stato, e continui ad essere, ogni volta, superiore a se stesso e ai suoi numerosi epigoni.
È tutta una questione di tocchi, e J Dilla ha sempre avuto il tocco magico. L’hip hop è una musica derivata dalla significazione della tecnologia e dalla reinvenzione di una precedente tradizione musicale, filtrata attraverso il medium oggetto-disco. Tuttavia l’elemento umano è centrale, in un senso quasi esistenziale. J Dilla, nella sua attività di produttore musicale, è riuscito nella grandiosa impresa di far risuonare la propria storia e la storia della propria città, Detroit, facendo affidamento non solamente sulla tecnica, mettendoci bensì tutto se stesso.
Benché negli ultimi anni della sua vita abbia vissuto a Los Angeles, Dilla è Detroit, e Detroit è una delle città americane più importanti se si parla di black music. La scelta dei samples, il tipico modo di programmare le batterie sull’MPC 3000, le linee di basso e i tocchi di tastiera, ma anche le produzioni più elettroniche dell’ultimo periodo, forse influenzate dalla techno. Tutto questo è il frutto di una sintesi ricombinatoria geniale, unica e ben definita.
Per questo, un po’ provocatoriamente, penso che la cosa più dilliana che si possa fare nel giorno dell’anniversario della sua nascita, sia di rendersi conto di quello che è il vero messaggio del suono di Jay Dee. J Dilla non suonava “come” J Dilla, suonava come se stesso; e tutti i produttori che vogliono suonare come Dilla – sul web ci sono centinaia e centinaia di topic e tutorial a riguardo – dovrebbero allontanarsi dal suo stile, perché solo così potranno trovare il loro, e suonare autentici e vitali, come lui ha fatto durante il corso della sua purtroppo breve vita, addirittura componendo gran parte del capolavoro “Donuts” su un letto di ospedale, poco prima di morire.
Quella che segue, è una breve playlist di alcuni dei suoi numerosi capolavori, selezionati da me secondo i miei gusti e senza nessuna pretesa.