di Luca Lovisetto
foto di Flavia Eleonora Tullio
I The Clothes sono Massimo Scoposki e Laura Palmiz e da qualche mese è uscito il loro Ep omonimo. Ce li siamo ascoltati, e ci sono piaciuti. Ecco che ha raccontato Massimo al nostro Luca Lovisetto.
L’EP come prima esperienza, com’è andata? Dalle recensioni sembra molto bene.
M. Si abbiam scelto di fare un EP perché era per noi una prima esperienza di registrazione, quindi siamo rimasti a vedere un po’ anche l’effetto che poteva avere questo nostro primo lavoro. Ed è andato! L’Ep nasce al ritorno di una mia esperienza Erasmus in Francia, dove ho avuto tempo per scrivere e suonare pezzi nuovi. Sentivo che la sola cosa di cui le canzoni avevano bisogno erano una batteria, o comunque di un ritmo che tenesse su il pezzo. Allora ho deciso di mantenere una forma pop ed esprimermi in maniera minimale: chitarra più batteria. Partire, appunto, da una formazione di due elementi ed eseguire pezzi ideali per una pop band di 4-5 elementi senza usare effetti o distorsioni è stato un mio esperimento, una prova: trarne lo stesso una musicalità è stata una sfida contro chi diceva puntualmente: «ma… manca il basso!»
Infatti chitarra e batteria è una formula che è ritornata molto in auge; mi vengono in mente, per esempio, i Sadside Project. Come sono andate le registrazioni?So che il lavoro è stato registrato da Luca Gobbi dei Karibean (che tra l’altro si sono sciolti da pochissimo), e sono stati a mio avviso una delle perle dell’indie marchigiano.
M. Abbiamo registrato pressoché tutto quanto in presa diretta. Sicuramente band come Karibean mi hanno influenzato e stimolato molto nel dar vita ad un nuovo progetto. Luca Gobbi ha prodotto il nostro disco e, ovviamente, come tutti i fonici/produttori ha un suo gusto, che in questo caso si è sposato bene con le nostre canzoni.
Raccontami un po’ della gestazione del disco. Come nascono le canzoni? Parlando con te sono spuntate fuori parole come Francia, Erasmus, rabbia, nostalgia, perdita di senso…
M. I pezzi che scrivo solitamente rispecchiano il periodo che vivo: quando sono arrivato in Francia i primi periodi è stata dura approcciarsi ad un altro modo di vivere, e i testi rispecchiavano quel periodo.Non è facile spiegare la nascita di un pezzo, spesso scrivo tanti giri musicali che solo alla fine riesco ad unire gli uni agli altri, dando vita ad una canzone. Altre volte da un ritmo che ho nella testa passo poi alla chitarra e il pezzo si scrive da sé. Non c’é una formula vera e propria. Spesso in situazioni alienanti o di solitudine mi piace ricordare persone che hanno significato qualcosa: Foaming Waves è una canzone legata al mare, a dei ricordi dell’infanzia.Il testo dice: «Mi ricorderò della nave che si stagliava all’orizzonte e la sabbia che copriva il nostro amore. Io ero un bambino, un bambino al tramonto, un bambino che giocava con le onde spumose. Ma ora il sole è scuro e il ricordo si è inumidito», poi parte il ritornello.Le canzoni parlano di storie vissute, di esperienze, di ricordi, di persone, di umanità, di sentimenti.
Una cosa che ho notato nelle canzoni è l’apparente contrasto tra le sonorità indie pop c86 ed il cantato, che talvolta diventa nervoso e punk. Una sintesi tra l’ingenuità e l’adolescenza dei primi anni 80 scozzesi e le medesime stagioni new wave/post punk in Inghilterra. In più di un caso si sentono tante influenze dagli anni 80: Pastels e Violent Femmes, per fare due esempi da ambo i lati dell’oceano.
M. Non mi dispiace esser accostato a nomi di grandi, al tempo stesso amo lasciarmi influenzare da ogni genere di musica che sia pop o orecchiabile.
A tal riguardo, per esperienza so che spesso si viene paragonati a band che magari non si è neanche mai sentiti nominare. Il vostro EP è stato recensito pressoché ovunque, qual è il paragone più strambo o, secondo te, fuori luogo che vi hanno affibbiato?
Non so, ma il più delle volte ci accostano a gruppi che non conosco. Quindi: grazie a voi che fate recensioni perché mi date la possibilità di allargare il mio bagaglio musicale.
Vi ho conosciuto grazie alla compilation di Natale di polaroid. Il mio amico californiano Sam quando ha sentito la vostra canzone ha esclamato «Damn! The song “The Night Before Chrismas” on this mix is a real charmer».
Enzo Baruffaldi ci ha contattato per far parte di quella compilation. A notizia appresa sono salito in cameretta e ho scritto il pezzo: è venuto fuori in maniera molto naturale. Per me il Natale risiede nella tradizione e mi piace poterlo colorare di rock’n’roll, il rock’n’roll di Johnny Cash per capirci, piuttosto roots (riletto in chiave ironica). Ho scelto una musicalità che a tratti scivolasse nel rockabilly ma che allo stesso tempo mantenesse le nostre corde.
Uno degli aspetti più interessanti del disco risiede in questa scelta estetica twee/lo fi da bedroom-pop che però affrontate, mi sembra di capire, con un’attitudine piuttosto garage o punk. Nel senso, live immagino siate una band piuttosto rumorosa e rock. Avete in programma un tour? Dove vi piacerebbe suonare? Sam ci tiene anche a chiedervi quando venite a Bologna, o alternativamente negli Stati Uniti.
Nel live amiamo divertirci, quindi sì, d’impatto siamo piuttosto punk-garage pur rimanendo le canzoni sempre pop. Abbiamo delle date locali, noi siamo marchigiani. Grazie al nostro booking, IndiePress, a breve forse partiremo con delle date fuori, sarebbe bello poter esibirsi anche a Bologna e un sogno negli Stati Uniti.
Cosa ascoltavi da ragazzo?
La musica che più ascoltavo da ragazzino e che comunque ascolto tutt’ora è il punkrock; grazie a mio nonno che era un contrabbassista jazz ho conosciuto il jazz, poi la musica country, il blues. Allo stesso tempo amo lo ska e il rocksteady, così come mi piace la musica elettronica. Credo che ormai nel 2014 non esistano i generi musicali. Esiste la musica. Può essere benissimo inteso come rock’n’roll una canzone che non preveda per forza chitarra, un basso o una batteria.
Il mio pezzo preferito dell’ep, al momento, è Creepy creepy world creepy creepy shoes, che ha sicuramente un impatto molto meno solare rispetto all’atmosfera soft del resto del disco. Di cosa parla questo brano?
Parla di un sentimento, di sentirsi come in gabbia e di urlare al mondo creepy creepy world (mondo schifoso, mondo di vermi) creepy creepy shoes (è giocato sulle Creepers, scarpe molto in voga ora). La canzone parla di un senso di libertà, una libertà che fatica talvolta ad esserci.
Prossimi progetti? I pezzi sono in inglese, vi piacerebbe lavorare con una particolare etichetta, italiana o estera?
Al momento ci stiamo mettendo d’accordo con Laura – la batterista – per il nuovo disco, che vorremmo iniziare a registrare a breve. Non saprei dirti bene con quali etichette ci piacerebbe collaborare, ovviamente con chi sappia apprezzare o cogliere la filosofia del nostro lavoro senza cadere in cliché musicali.
L’EP ha una copertina molto bella. L’hai fatta tu?
Sì, la copertina l’ho realizzata io, in collaborazione con Elena Giovagnetti, artista, decoratrice nonché mia fidanzata! Le copertine sono realizzate tutte a mano e in grafica.
La domada di rito, perchè vi chiamate così?
The Clothes: in sintesi, moda e musica sono andate sempre di pari passo sia nel corso del secolo passato che, più che mai, in quello attuale. Spesso si valuta di più l’apparenza rispetto alla musica, quindi il nome vuol essere una critica alla superficialità che spesso l’apparire rappresenta, specie nella musica. Allo stesso tempo mi piace reinventare la moda, inventando sempre nuove fantasie.
Ok, le domande sono finite. Cerchiamo di dare però il nostro contributo alla causa e aumentare il già enorme hype che aleggia sulla scena marchigiana: consigliami qualche band delle vostre parti che varrebbe la pena di ascoltare.
Ovviamente Karibean, Versailles, Magnolia Caboose Babyshit.