L’8 marzo si celebra la festa della donna; tralasciando tutte le considerazioni e le polemiche che, inevitabilmente, accompagnano tale ricorrenza, con questo post vorrei “azzardare” delle considerazioni sulla storia sociale della donna, sulla sua trasformazione da BEATRICE, di memoria dantesca, a MERETRICE, termine che va trattato con le dovute cautele e che non vuole essere assolutamente offensivo; lungi, infatti, dall’usarlo con l’accezione latina, lo si impiega come “contraltare” alla donna angelo della poesia medievale. Mentre la prima elevava, con la sua nobile ma statica presenza, lo spirito dell’uomo dalla terra al cielo, la seconda con la sua viva presenza ancora l’uomo alla vita terrena ed anche alla dimensione carnale: non solo fonte di salvezza, dunque, ma fonte di perdizione. Ispiratore di questa riflessione “pre-festa della donna” uno degli ultimi pezzi di Cosimo Fini, in arte Guè Pequeno, “La mia ragazza è gangsta”, che regala col suo stilnovo post-litteram, una dedica alla propria ragazza. Il motore mobile di una composizione, aulica o trash che sia, ieri come oggi è ancora la donna. Come Dante, Petrarca, Boccaccio dedicavano versi, o anche intere opere alle loro madonne, i rappers dedicano canzoni alle loro “fighe”: la donna amata perde il suo alone celestiale, lo status di creatura divina, e diventa una creatura terrena a tutti gli effetti. È realismo. Con buona pace di Auerbach.
Insomma Beatrice ha viaggiato nel corso dei secoli e si è trasformata in una donna forte e sicura – mi si conceda tale licenza – CAZZUTA, (Ho una tipa che delinque con Chanel numero 5), dall’incarnato non più nobilmente diafano ma caratterizzato da un colore deciso, naturale o artificiale poco conta, (scura), acculturata (parla due o tre lingue), con un raffinato senso del ritmo (si eccita col rap; La tua tipa ascolta Liga la mia ascolta Reggaeton), consapevole del suo sex-appeal (E quando passa scassa, ti giri e ti fermi), curata in ogni minimo particolare (La mia tipa c’ha il tacco più lungo del tuo cazzo; Ha occhiali neri grossi come teleschermi; E spesso è una diavolessa veste Prada), una donna d’esperienza (la mia tipa è strada), talmente emancipata dal punto di vista sociale da essere impegnata tutto il tempo in attività ludiche o ricreative che non le lasciano spazio per i social networks (Fa così brutto che non ha un profilo Facebook; E non abbiamo tempo per i social, Tieniti Insta e lascia i gram a noi), una self – made – woman anche dal punto di vista economico, totalmente indipendente, una million dollar baby con l’atteggiamento di una material girl (Guadagna in una settimana quanto io in un tour; Ha una macchina che spinge; La sua migliore amica si chiama Celine; Il suo migliore amico si chiama Cartier; Lei si fa la doccia con il Dom Perignon), dalla grande forza di carattere, straripante, che si riversa in energia fisica (La mia ragazza è gangsta, La mia ragazza pesta E lei fa più brutto di te; La tua tipo fa la scena, ma è una scema. La mia morde come una vedova nera, e lo fa con la luce accesa) . Per la serie tanto gentile e tanto onesta pare … ma attenzione a non farla alterare (Non farti ingannare dal vestito con gli strass frà, la mia ragazza mena come quella di J-Ax). Dall’unione di questa doppia natura, sensuale e ferina, deriva la sua bellezza, bellezza di cui non solo lei è perfettamente consapevole ma anche chi le sta accanto (Me la suchi quando entro nel locale assieme a lei, Così bella o troppo bella tipo ucciderei per lei).
E poiché anche Guè Pequeno sotto la sua dura scorza da rapper bello e dannato ha un cuore, indica, come un novello Dante, nella devozione e nella complicità le virtù cardinali della perfetta innamorata ([…] fuma e beve tutto finché non arriva l’alba e la guarda assieme a G-U-E! ; E ti sfottiamo quando sentiamo il tuo rap; Siamo Bonnie e Clyde, Siamo il volo alle Hawaii).
Sul piano strettamente tecnico troviamo come figura retorica dominante, specialmente nel ritornello, l’anafora, dunque la ripetizione ad inizio verso della medesima parola, per dare rilievo a COLEI di cui si parla – nel caso specifico, la propria ragazza.
[quote style=”2″]Rit
La mia ragazza è questa,
La mia ragazza è gangsta,
La mia ragazza pesta E lei fa più brutto di te.
La mia ragazza è questa,
La mia ragazza è gangsta,
La mia ragazza pesta
E lei fa più brutto di te.[/quote]
Inoltre, scorrendo il testo si ritrovano rimandi cinematografici (Il diavolo veste Prada), a marchi prestigiosi che vanno dal settore automobilistico (BMW) a quello della moda (CELINE) e dei gioielli (CARTIER), che sono diventati un po’ l’emblema, lo status symbol dell’odierna società e che l’artista impiega nella sua lirica per rendere più immediati i riferimenti che descrivono la donna cantata, proprio come accadeva nella poesia medievale, dove i poeti impiegavano rimandi all’oro (che oggi, appunto, è quello di Cartier) per descrivere i capelli delle amate, alle gonne leggiadre che ricoprivano loro i fianchi (che oggi sono quelle di Prada), all’angelico seno che nel testo del Guercio è designato con la perifrasi “due bombe ad orologeria”.
Tu chiamale, se vuoi, EVOLUZIONI: della lingua, della donna, della società. Il cambiamento è sempre in atto perché l’essere umano e tutto quanto lo circonda è continuamente in fieri: esso perciò non va osteggiato o combattuto ma accettato e compreso, contestualizzato. Questa è la poesia del futuro, è il linguaggio delle nuove generazioni, che è magari poco aulico e poetico, ma non meno efficace a livello comunicativo e tematico: è pragmatico, gioca su immagini topiche e su riferimenti culturali e sociali che sono parte integrante del nostro sistema. Erigersi a giudice supremo, superpartes, significherebbe in primis misconoscere un sistema di cui si fa parte ma anche avere velleità da laudator temporis acti, che risulterebbero alquanto anacronistiche: il mondo corre veloce e bisogna tenerne il passo per non restare indietro. Parafrasando Pelù bisogna “vivere il proprio tempo e starci bene dentro”.