Nella loro descrizione su Facebook si legge, testuali parole: “In un baratro neuronale che si cela sotto un velo di ipocrisia, due vagabondi si sono scontrati inseguendo la stessa luce. Uno dei due ha detto: “Sento delle voci nella testa”. L’altro ha risposto: “Sento delle melodie nella mia”. Hanno mescolato le loro follie e ciò che udite è il grido della creatura neonata”.
Così si presentano i torinesi The PotT, anchʼessi, come Gli Ebrei, sotto la Sinusite Records. Nati come duo, diventati con il tempo un quintetto, li abbiamo intervistati per farci raccontare ciò che sta dietro il loro progetto.
• I The PotT. Chi siete e di dove siete, innanzitutto?
Emanuele Bertasso: Nasciamo come duo, composto da me, Emanuele Bertasso, e Simone Seminatore, per poi diventare un quintetto nel corso di quest’anno. Come duo abbiamo sempre rappresentato dal vivo la nostra musica in modo pesantemente elettronico con solo una chitarra come strumentazione “reale” più la mia voce; da quando abbiamo iniziato la nostra collaborazione con la Sinusite Records, abbiamo deciso di sviluppare il nostro suono in maniera più corposa e tradizionale, ovviamente senza mai abbandonare del tutto il nostro legame a certe sonorità “sintetiche”, se mi concedi il termine.
Simone Seminatore: La metamorfosi da duo a gruppo è stata spontanea. Abbiamo sempre avvertito la necessità di un batterista
e un bassista in carne e ossa, soprattutto per far fronte al problema della scarsa corposità del suono dal vivo. Non dovendo più assolvere al ruolo di scheletro compositivo, l’elettronica si è alleggerita parecchio ma continua ad essere complementare agli strumenti tradizionali. Con una sezione ritmica “vera” abbiamo trovato la “botta” che ci mancava.
E: Si sono quindi aggiunti alla formazione Manuele Miceli alla batteria, Simone Roseo al basso e Fabio De Filippo ai cori più la gestione dei pattern elettronici durante le esibizioni dal vivo. Veniamo tutti quanti da Torino e dintorni.
• Come vi è venuto in mente il nome?
E: Il nostro nome è l’acronimo di una frase in inglese diciamo “rivisitata” dall’idiozia che io e Simone condividiamo e venuta fuori durante una delle innumerevoli situazioni in cui ci ritroviamo a dire cose delle quali non possiamo far altro che vergognarci in seguito. Questa, però, non è una di quelle. Ad ogni modo, siamo restii a rivelare il significato di tale abominio e probabilmente ci porteremo questa cosa nella tomba. Vedremo.
S: Mi ricordo bene il concepimento del nome, sin da subito lo abbiamo timbrato TOP SECRET principalmente con l’intento di far morire di curiosità chi ci avrebbe posto questa domanda. Infatti ora sto godendo come un riccio. Penso finiremo col mantenere il segreto fino a che la demenza senile non lo cancellerà
definitivamente dalle nostre logore menti. Ammesso che si arrivi alla vecchiaia…
• In che modo siete venuti in contatto l’uno con l’altro?
E: Ho conosciuto Simone il primo anno di università durante una lezione di Linguistica Generale grazie a un’amica in comune. Da lì in poi ci siamo sempre tenuti in contatto, anche se c’è stata una considerevole pausa nel nostro rapporto durata forse più di un anno, ora non ricordo… Diciamo fino a quando non abbiamo capito entrambi che volevamo fare musica insieme.
S: Inizialmente avevo pensato di inserire Emanuele come cantante in un mio altro progetto, ma dopo poche prove insieme mi sono reso conto delle reali potenzialità della sua voce. Inoltre lui mi aveva incuriosito parecchio con sonorità che fino ad allora non avevo minimamente calcolato e che desideravo far mie. Così abbiamo iniziato a “giocare col computer” a casa mia e da cosa nasce cosa.
Manuele Miceli: Simo “Semina” aveva registrato l’EP di un altro gruppo in Casasonica, dove lavoravo. Lì ci siamo conosciuti ed è scattata immediatamente un’alchimia accompagnata da una stima reciproca. Appena ho aperto il mio studio ci siamo sentiti, ho conosciuto Emanuele e abbiamo iniziato a lavorare sui brani della loro prima demo che mi avevano fatto sentire.
Fabio De Filippo: Una sera Manu ci ha presentato Emanuele e Simone per via di alcune registrazioni da effettuare in studio. Dopo una serie di evoluzioni, eccoci qui.
E: Manuele ha avuto un ruolo determinante in quello che siamo ora. Oltre ad averci immensamente aiutati in svariate situazioni, essendo anche il proprietario di uno studio (il GRAMAROSSA Studio Recording) abbiamo deciso di registrare con lui il nostro disco d’esordio. Simone e Fabio sono amici di lunga data di Manuele, abbiamo iniziato a provare insieme e da lì in poi è stato piuttosto chiaro quale fosse la strada da prendere.
• Ognuno dei membri dia un aggettivo alla musica che suonate.
E: Estatica.
E: Estatica.
S: Suggestiva
F: Corposa
M: non si esprime
Simone Roseo: non si esprime
F: Corposa
M: non si esprime
Simone Roseo: non si esprime
• Che cosa avete all’attivo?
E: Al momento stiamo ultimando i lavori per il disco di cui ti ho parlato precedentemente (che si intitolerà “To Those In The Eyes Of God”), a breve comincerà la fase di mastering per tutti i nove brani che lo compongono e poi potremo finalmente annunciare l’uscita di questa benedetta creatura alla quale teniamo molto ma che tanto ci ha fatto penare…
Siamo inoltre dell’idea di fare ancora qualche concerto (la nuova formazione ha debuttato il 25 giugno al Caffè del Progresso) insieme prima di staccare un po’ la spina per un paio di settimane e poi riprendere il discorso verso settembre. Non vediamo veramente l’ora.
• Cʼè profumo di tour?
E: Quando il disco sarà uscito, speriamo che il nostro lavoro possa essere interessante per qualche agenzia di booking e poter iniziare così a levarci qualche soddisfazione. Ovviamente non sappiamo come andranno le cose, ma siamo ottimisti in quanto crediamo nel nostro operato.
SS: Il tour è una realtà che acquista un senso solo se poggia sulle fondamenta solide di un progetto valido. Il disco sarà la chiave di accesso a determinate situazioni. Personalmente sono molto soddisfatto del lavoro svolto finora.
F: Si vive anche per quel momento! Da Ottobre? Speriamo!
• Progetti futuri?
E: A breve cominceranno le riprese del primo video che faremo per questo disco (che saranno a cura del nostro caro e insostituibile amico Matteo Banfo), oltre a voler iniziare a lavorare su nuovi pezzi per il prossimo disco. Non è che ci piaccia molto stare con le mani in mano, a dire il vero…
S: Manu (Bertasso) è molto prolifico nella scrittura dei testi e io ho già l’hard disk ingolfato da riff registrati nei momenti più assurdi della giornata. Insomma, stiamo per partorire un bel bambino, ma rimarremo gravidi!
E: Ci sarebbero altre cose in cantiere ma preferisco non dire troppo, soprattutto finché non sono ben definite.
• Influenze e ispirazioni?
E: per quanto mi riguarda è imprescindibile la figura di Maynard James Keenan. Ho finalmente realizzato senza il minimo dubbio la mia volontà di fare musica dopo aver scoperto questo artista che ha rivoluzionato tutti i canoni che avevo ordinatamente predisposto nella mia testa di ascoltatore. Folgorato sulla via per Damasco, insomma. Al di là dei suoi relativi progetti, le mie orecchie sono strettamente legate a Coil, Sleep, Nine Inch Nails, Shiner, ROME, Pelican, Oneida… Ma è meglio fermarsi perché potrei non
terminare più. Comunque ti sarai fatta un’idea più o meno a fuoco del mio background musicale grazie a queste coordinate.
S: È molto raro che io sia consapevole delle fonti di ispirazione che guidano le mie mani nell’atto della composizione di un brano… Solitamente me ne accorgo molto tempo dopo, spesso perché altri me lo fanno notare. Senza dubbio la mia concezione della musica è stata fortemente plasmata dall’incrocio delle attitudini all’ascolto pressoché opposte dei miei genitori. Mio padre è sempre stato attratto da sonorità complesse e ricercate mentre mia madre predilige generi decisamente più orecchiabili ed immediati. Fin da bambino quindi sono stato – fortunatamente – educato ad ascoltare e concepire la musica nei suoi aspetti e generi più vari e e tutto ciò si rispecchia nel mio modo di comporre. Non riesco davvero a ridurre un discorso così ampio a dei nomi… Diciamo solo che al momento sono particolarmente impallinato con Björk, Verdena, Nine Inch Nails, Queens Of The Stone Age, A Whisper in the Noise, alcune cose dei Dredg e altri che al momento mi sfuggono ma certamente agiscono in qualche antro del mio cervello mentre le dita danzano sul manico.
F: Sarebbe impossibile per me elencare le mie influenze. Parto da piccolino ascoltando classica alla radio, arrivo ai 10 anni pieno di hard rock e – più di tutti – i Queen per poi farmi accompagnare da grunge, metal, nu metal e techno in equilibrio fino a poco tempo fa, quando ho rimescolato le carte e son partito da autori e artisti nati e “finiti” ben prima che il mio orecchio avesse voglia di musica. La
mia reale influenza è stata quella di non aver mai avuto un genere o un gruppo che totalizzasse la mia attenzione.
M: Miriadi!! Al momento ti posso citare i Karnivool. Sound Awake mi ha cambiato la vita ultimamente! Era tanto tempo che non sentivo un disco così completo.
• C’è un idea fondante dietro alla composizione del vostro disco?
E: Sì. Al momento non riesco a concepire la scrittura di un disco in altro modo. Ho bisogno di dare dinamicità al mio lavoro, che ci sia un leitmotiv (anche se sottile) che possa essere in grado di unire in maniera organica gli episodi che scorrono all’interno dell’album. Pensa a un film: le scene, in teoria, dovrebbero susseguirsi incasellando un tassello dopo l’altro, in modo che alla fine lo spettatore possa capire l’intero discorso in maniera completa e soddisfacente. La vedo nello stesso identico modo per quanto riguarda la composizione di un disco. Ad ogni modo, immagina una stanza buia con al centro una candela accesa. Intorno a questa candela, alcuni specchi. Che essi siano in grado di riflettere la luce della candela o meno è determinato dalla pulizia delle loro superfici, ed è proprio questa purezza che noi cerchiamo di indagare all’interno del nostro lavoro. La luce è là fuori ed è persistente, ma sembra che non siamo più in grado di vederla; mai come adesso è necessario un risveglio dell’uomo attraverso una
seria presa di consapevolezza di ciò che sta accadendo in questo periodo storico.
S: Trovo che la scelta di pubblicare un concept album sia stata molto coraggiosa ma in fin dei conti necessaria al fine di trasmettere il nostro messaggio. Questo disco vuole essere un’esortazione alla presa di coscienza del mondo che ci circonda, mira a destare il desiderio di acquisire maggiore consapevolezza del tutto e ad acuire la propria capacità critica verso di esso. A questo scopo è necessario interrompere la frenesia della routine che ci fa credere di essere attivi e vigili mentre in realtà siamo immersi in un torpore stagnante. Penso che L’idea di creare un concept album sia l’espressione spontanea di questa necessità. Non era un insieme di singoli usa e getta accomunati solo dalla coesistenza sullo stesso supporto fisico che volevamo per questo lavoro. “To Those In The Eyes Of God” rifiuta categoricamente un approccio frettoloso; invita invece a fermarsi per ascoltarlo nella sua interezza.
Dunque, a tutti i curiosi, non resta che spulciare la loro pagina Facebook e l’ immancabile MySpace.
Da tenere dʼocchio, insomma.
– Erica Boiano