Quando abbiamo contattato Hazina Francia per un’intervista, ci tenevamo davvero che le sue (e le nostre) parole, fossero accompagnate da arte. Altrimenti avremmo perso certamente un pezzo importante della discussione, quel momento magico in cui le idee si trasformano in altro.
Hazina Franci, conosciuta ai più come Petit Singe, ha fatto di più, regalandoci una preview di un suo prossimo pezzo: “Modern” fuori a Novembre per Recreation レクリエーション (come leggerete anche nell’intervista).
“Modern” è la perfetta intro alla musica di Petit Singe, dove i pattern tribali si mescolano alla dolcezza di un suono che ti vien voglia di chiamare familiare. I visual fanno il resto, e, di seguito, capirete di più anche sulla loro origine.
Questa sera suona al Fabrique Milano insieme ad Evian Christ e Vaghe Stelle per il party Noisey / Club To Club.
Come, dove, quando e perché nasce Petit Singe?
Petit Singe nasce a Forlì, che è la città dove tuttora vivo. Nasce in casa mia, in maniera molto semplice; pensa che all’inizio non volevo neanche pubblicare i miei pezzi con questo nome. È nato tutto circa due anni fa, quindi è nuovissimo come progetto. La modalità è stata anche abbastanza casuale, ho creato questa traccia lunghissima senza avere in mente di farla sentire a qualcuno.
Stai parlando di “Dot”, il tuo primo singolo?
No, di una delle tracce di “Ballet“. Era un prodotto addirittura senza master, molto home made.
Poi da i ragazzi di Haunter Records, che sono nati praticamente nel mio stesso anno, mi hanno ascoltata e han deciso di aiutarmi a mandare in giro questo nome, mandar in giro il progetto, le prime serate a Milano (allo Spazio Concept ho fatto la primissima showcase di Haunter Records). Da lì è nato tutto insomma.
Perché proprio Petit Singe?
Perché da piccola mi hanno sempre chiamata con nomignoli come “scimietta”, “scimmy” per il mio essere una bertuccia dispettosa. Ho cominciato ad usarlo in inglese, nei social e cose del genere. E quindi dopo l’ho tradotto in francese soltanto perché mi sembrava più carino, tutto qui.
Vorrei intraprendere per un attimo la questione dedicata alle tue origini. Mi è sembrato, ma correggimi se sbaglio, che tu non voglia mettere troppo in risalto la questione delle origini orientali per non “sfruttare” la faccenda nella composizione musicale e nella creazione del personaggio. Nel senso: sì, ci sono dei richiami di word music nella mia roba, ma non lo faccio perché sono indiana ma perché mi piace la world. È sbagliata come interpretazione?
È esattamente quello che miro a fare! Ci sono, anche durante un mio live, alcune percussioni o richiami melodici orientale. Ma solo perché a me piace e non perché io sia indiana o particolarmente legata al mio passato. Cioè è una cosa che avrebbe potuto fare chiunque (e fa tipo Populous, ndr) nato in Italia e interessato a quel tipo di musica lì, a sviluppare insieme i due mondi di musica occidentale e orientale. Gioco magari un po’ sulle mie origini, ma la mia musica non viene da lì, e non mi sento migliore di qualcuno solo perché ho antenati “esotici”. La mia musica viaggia con delle sonorità, delle casse, che sono techno europee fino a dei suoni orientali, ma è un mix che potrebbe allettare chiunque.
So che non è elegante chiederlo, ma tu hai 28 anni giusto?
Sì, ne compio 29 a breve.
Ok. E mi dicevi che Petit Singe è nato due anni fa, quindi sui 26 no?
Sì, esatto.
Perfetto. 26 anni è comunque un’età abbastanza matura per intraprendere un nuovo progetto di musica elettronica. Come mai hai aspettato tanto e, soprattutto, cosa hai fatto prima?
In realtà io suono da quando avevo 16/17 anni. Facevo tutt’altra roba, da drum’n’bass al frenchcore, ma era sempre roba che restava nel mio pc e basta. In realtà Petit Singe nasce tardi perché non ha avuto uno studio dietro. Cioè l’han fatto partire gli altri, non io. Tra l’altro così velocemente che mi son ritrovata scaraventata in quel mondo lì dal giorno alla notte. Mi rendo conto che ci sono dei ragazzi bravissimi e con idee interessantissime, e molto più giovani di me, anche se tutti mi danno 20 anni (ride)
Beh, hanno ragione in effetti.
Ahahah grazie. Ci sono però ragazzi che sono adesso nella scena, e lo sono magari da un anno o due.
Mi viene in mente Furtherset.
Esatto, pensavo anche io a lui, dato che abbiamo suonato insieme poco fa al Ritual. Giovanissimo, in gamba, potrei quasi essere sua mamma.
Il fatto è che questa è una cosa che richiede molto impegno, qui c’è produzione, studio, metodo.
Artisticamente sei nativa digitale, o hai studiato qualche strumento?
Io facevo il liceo musicale, facevo chitarra classica, suonando comunque tutti gli strumenti che mi capitavano sotto mano. In realtà il lato strumentale non l’ho mai abbandonato perché campiono spesso veri e propri strumenti.
Petit Singe è strettamente legato al digitale, all’elettronica al pc. Ma io vengo da una formazione comunque analogica, anche nell’ascolto. Dal rock, al grunge.
Passiamo un po’ ai raggi x la tua musica. Ovunque in giro si legge del tuo massiccio utilizzo delle percussioni nelle tue strumentali. Non voglio essere ripetitivo, quindi ti chiederei se queste l’emergere dei questo suono è voluto, o è più un qualcosa che viene fuori da solo?
È una cosa abbastanza naturale, spessissimo mi è capitato di star producendo un pezzo in cui non avevo intenzione di metterle, poi certo, le provo le acquisisco, ci stan bene e mano a mano acquistano più importanza. In alcuni pezzi sono magari più sottolineate, in altri assenti (come in “Tregua” ad esempio). Quindi è abbastanza casuale la presenza della percussione. Sto facendo qualcosa, l’ascolto in cuffia, son carica vedo che ci stan bene e magari mi scappa un po’ la mano. Altre volte non ne sento proprio l’esigenza.
Nella composizone tu sei metodica o abbastanza libera?
Io sono molto free, nel senso: sono molto istintiva. Nel momento in cui preparo Ableton, inizio a inserire qualcosa, se ci sta bene altro lo aggiungo, poi tolgo. Dipende molto da quello che ho davanti. Ne è dimostrazione la questione dell’sms: ho dimenticato di mettere il silenzioso al cellulare ed è entrato. Son metodica in certe cose, per esempio in chiusura di un pezzo. Ma lì per lì sono istintiva. Magari domani mi viene il pezzo capolavoro.
Nei tuoi pezzi ci sono spesso campioni vocali, ma sempre molto sussurrati, appena accennati. Hai mai pensato di aggiungerci un featuring vocale intero, magari un cantato?
Sinceramente no, non c’ho mai pensato nel particolare. Poi magari in futuro mi possono venire altre idee, potrei inserire qualcosa, qualcosa di mio anche o comunque qualcosa che abbia un senso logico.
Petit Singe nasce strumentale, no?
Sì, diciamo che i richiami vocali sono pochi, a volte miei piccoli campioni ma tanto distorti. Al momento il progetto è prettamente strumentale
I tuoi due EP, mi sembrano molto diversi tra di loro, un po’ in tutto. “Ballet” ha pezzi molto lunghi, “Tregue” è più un qualcosa di consono. Anche i suoni, cambiano dal tribal alla sperimentazione pura.
La differenza sostanziale è che “Ballet” è nato davvero a caso, anche nei tempi e nelle durate. Ho fatto play a stop in base a quando mi ero stancata di registrare. Invece “Tregua” ha un lavoro molto più curato dietro. Anche il pensare all’avere un progetto in uscita è importante.
In “Ballet” c’è “Jump” che è un’atmosfera cupa, “Clorò” è tutt’altro. È proprio disarmonico di suo, è incostante. “Tregua” è più fluido, di un livello superiore quanto a costruzione.
Io sono, e lo ripeto ad ogni intervista, totalmente in down per i titoli delle tracce, degli EP e degli album. I tuoi come vengono scelti?
Anche qui ritorna il discorso “Ballet” e “Tregua“. In quest’ultimo hanno un perché e un significato. Lui invece molto a caso.
In Tregua invece oltre alla mie sensazioni durante la composizione ( a momenti mi addormentavo mentre andava il loop, quindi tregua era perfetto). Oppure “Metra” (che all’inzio era Metro) viene dal suono delle grida di una donna nella metro a Milano. “Festa” invece viene da un mio trip mentale, di questa festa al rallety, che è il visual di quel pezzo, sovrapposto al cantato arabo della fine della traccia.
Adesso mi piace che il titolo abbai un senso, pur se molto personale
Non ho mai avuto il piacere di assistere ad un tuo live. Mi spiegheresti meglio la storia della ballerina?
Tutto nasce dal fatto che componendo “Jump“, avevo costruito questo ritmo ripetitivo e essendo cosi moderno mi piaceva vedere come veniva ballato da una ballerina classica, che è completamente diversa da quel suono più sporco e primitivo del basso. Ho fatto questa visual con le ballerine che ballano mezzo astratto mezzo no, con degli effetti. Poi sono passata ad un visual performativo con Carlotta Testa, che mi ha aiutato, e abbiam portato in giro questa idea. Per il momento è un po’ accantonato più per le difficoltà organizzative che altro, ma ovvio che se mi si dovesse richiedere non esiterei a riproporlo.
A proposito di questo, quando ci sei dentro nella produzione dei tuoi video/visual?
Molto. Son tutti ideati da me. Alcuni sono stati proprio girati, montati come quello di “Toys“, che però ancora non ha una release ufficiale ed è una cosa che faccio solo live. Altri video invece sono semplicemente una composizione di immagini in movimento che trovo su internet e che catturo con quicktime. Collego, monto, ci aggiungo effetti e soprattutto decontestualizzo molto. Ad esempio mi piace prendere scene che nessuno si aspetterebbe di vedere e… tac arriva l’immagine ad effetto sorpresa. E’ bello vedere la reazione della gente.
Quando abbiamo concordato questa intervista mi parlasti di tante nuove cose che avevi in testa, collaborazioni in essere o che stanno comunque per uscire a breve. Ce li anticipi?
Ho il calendario qui davanti, cosi riesco ad essere esaustiva (ride). Adesso mi ha contattato Bangalore, producer di Elastica Records, che mi ha chiesto un remix da fare uscire in un EP con altri due remix che uscirà con una nuova etichetta sempre collegata ad Elastica, la OOH-sounds. Fine ottobre dovremmo esserci.
Su Haunter invece farò uscire un remix di Weightausend, che farà parte di un suo lavoro, anche questo verso novembre.
La cosa invece a cui tengo molto è questa collaborazione con Caterina Barbieri, una ragazza del ’90 di Bologna. Ci siamo scoperte insieme ad Imago lo scorso anno. Mi piaceva molto la sua musica analogica ed ho voluto collaborare con lei per far proprio una traccia nuova nostra. La faremo uscire con una net label in free download, che si chiama Recreation レクリエーション . Noi saremo la prima o la seconda uscita.
Quindi il remix è una dimensione in cui ti ritrovi?
Ti dico la verità, è il primo che faccio, quello per Bangalore intendo. Sinceramente mi sta piacendo, lo sto chiudendo in questi giorni, e sono abbastanza soddisfatta. È anche un genere che non ho mai fatto, perché un po dub e anche il pezzo è fighissimo, si chiama “South Wind”.
Nonostante sia il primo spero sarà il primo di tanti, perché credo molto nelle collaborazioni e sicuramente sarò sia io a propormi per remix che ad accettarli.
Vorrei coinvolgerti in un argomento un po’ più spinoso. Italia. 2014. Stato della musica elettronica e della fatidica “scena”: buono, o comunque in evoluzione. E’ questo il momento giusto per provarci seriamente?
Secondo me sì. Anche perché siamo facilitati dai social. Ma io sono comunque dell’opinione del provarci sempre, poi magari è una cosa che resta tra le mura di casa.
I mezzi li abbiamo, anche se siamo in Italia.
Eh, appunto, l’Italia. Com’è fare musica in Italia? Perdona la domanda forse personale, ma in Italia si vive di musica (ad oggi) o siamo ancora indietro?
Siamo ancora un po’ indietro però ci stiamo muovendo. Certo, rispetto ad artisti stranieri, tra noi italiani non tutti riescono a vivere di questo. Non siamo più fermi, anche come proposte. I canali ci sono, le serate pure, magari i soldi un po’ meno però vedo che sotto sotto la voglia c’è e pian piano ci avvicineremo a realtà più avanti.
Non sono in tante le producer donna che fanno questa musica. È un puro caso, oppure no? E tu come la vivi questa cosa?
Sì, è vero, è una cosa che ho notato anche io. Credo sia un caso che non esista un movimento femminile, anche se molto spesso mi ritrovo da sola.
Io trovo sia strano, cioè questo è un movimento in crescita ed è particolare che ci siano poche donne.
Secondo me, a parte questo mio genere particolare, anche in quello un po’ più ampio manca la parte femminile. Nella techno, come nell’elettronica più “fine” diciamo, la maggioranza è certamente maschile.
Io però non ne risento, cioè mi trovo anche meglio con gli uomini in ambito lavorativo.
Poi certo, nel mio ultimo progetto ho chiamato Caterina perché mi piacerebbe una figura femminile. Credo incuriosisca anche un po’, essendo più rare.
I tuoi ascolti di cameretta sono uguali alla musica che produci, o vanno in tutt’altra direzione?
Sono molto legati in genere, però ovvio che a volte vanno in tutt’altra direzione. A volte capita di volermi rilassare un po, ascoltando acustica italiana, cantautori. Non ho i paraocchi insomma.
Dove si trova l’ispirazione?
Nell’ascoltare molto gli altri. Per me è molto importante il confronto, non l’ho mai fatto, essendo anche figlia unica. Ma proprio nella produzione dei pezzi ho trovato ispirazione nel sentir musica, girar posto, vedere le espressioni della gente ad un determinato suono. Questo mi aiuta molto, anche indirettamente. Mi aiuta, mi condiziona. Mi apre gli occhi al mondo nel quale poi mi inserirò.