Dads – I’ll Be The Tornado
Basta guardare la copertina del loro primo disco—American Radass—e subito dopo di I’ll Be The Tornado per rendersi conto che i Dads hanno deciso di prendere la strada dell’evoluzione, che è quella più rischiosa, ma quella che può portare alle più grandi soddisfazioni. Di certo il fatto di essere un duo già da subito li ha messi davanti alla necessità di non sedersi sull’onda del revival emo, spingendoli a trovare il proprio spazio ben definito all’interno della scena. Nel loro secondo LP i Dads non si trattengono e decidono di imporre la loro strada nello spazio-tempo in cui dove l’emo incontra l’indie rock. Il fatto di essere in due obbliga probabilmente i nostri ad ingeniarsi, ma l’impressione è che la loro impostazione sia proprio quella di non averne una in specifico. Pezzi che iniziano con chitarre tipicamente twinkly-emo e quindi legate alle loro radici, ma che poi rallentano e si slegano quasi totalmente dal passato, andando a pescare quasi più dai droni degli Earth di The Bees Made Honey in the Lion’s Skull, mischiati con melodie decisamente post-rock. Molto spesso i pezzi di questo disco vi suoneranno strani. Dategli più di un ascolto e vi accorgete che strano è solamente un sinonimo di originale.
Uchu Conbini – Tsuki no Hansha de Miteta (宇宙コンビニ – 月の反射でみてた)
Ma i Dads li conoscevamo già da queste parti. La vera novità di oggi sono un gruppo che si chiama Uchu Conbini (meanwhile, “Uchu” è stato appena corretto dal mio iPhone in “zucchina”) e che ho trovato scavando nei meandri della rete (sembra una frase da Studio Aperto, lo so). Non vi racconto l’esperienza di destreggiarsi tra bottoni in giapponese per cercare quello giusto del download e le relative bestemmie allegate. Fatto sta che questo terzetto di Kyoto è davvero qualcosa di unico nel suo genere. Sostanzialmente pare di ascoltare una versione j-pop degli American Football. Non si capisce come riescano a suonare pezzi iper-tecnici di stampo math-prog, colmi di time signatures assurdi (uno dei componenti ha dichiarato di aver sviluppato la passione per la tecnica appassionandosi ai Dream Theater—io e il tipo abbiamo dunque gli stessi scheletri nell’armadio) e risultare incredibilmente freschi, ma soprattutto assurdamente pop. E l’impressione è che ci riescano principalmente perché sono giapponesi e perché la voce solista è affidata alla bassista donna che canta proprio come se fosse una star del japanese pop. Vi giuro, una figata. Questo è il loro secondo mini-album, quest’anno ne hanno già tirato fuori un altro giusto qualche mese fa. Io ho intenzione di diventare un loro fan accanito, spero mi seguirete in questa missione.
Beach Slang – Cheap Thrills On a Dead End Street
Come preannunciato nello scorso CHITARRONI, i Beach Slang hanno reso disponibile il loro secondo EP. Questa band in poco, pochissimo tempo ha fatto parlare sempre più di sé, guadagnando tour e etichetta praticamente prima di aver fatto un qualsiasi live. In questo EP troviamo il materiale più recente scritto dalla band (lo scorso EP infatti, pur essendo uscito qualche mese fa era costituito di roba scritta nel 2013), sicuramente più in mood autunnale, rispetto al precedente. Spicca su tutti Dirty Cigarettes, un brano così tanto attaccato al passato che pare davvero impossibile il suo riuscire a suonare così fresco e nuovo. Mi aspetto grandi cose da questo trio.
Rozwell Kid – Too Shabby
Non ho ancora ascoltato il nuovo degli Weezer, ma potrei probabilmente farne a meno dato che ho Too Shabby in heavy rotation da circa una settimana. I Rozwell Kid mi hanno fatto saltare sulla sedia un po’ come è successo con You’re Always On My Mind dei A Great Big Pile of Leaves. In comune hanno, oltre a certi suoni, il fatto di essere davvero un gruppo trasversale. Insomma, i Rozwell Kid sono uno di quei gruppi che vanno a genio a chi apprezza la roba più pop come appunto gli Weezer, ma anche chi apprezza roba più pesa e quindi distorsioni grasse e spesso e volentieri riff à la Mastodon in doppia chitarra che non potrei definire altrimenti che: \m/ METAL \m/. Un disco assolutamente non rivoluzionario, ma che okkuperà l’app “musica” del vostro devais (cit. Franci) a lungo.