Alejandro Ghersi è un producer ventiquattrenne di origine venezuelana che si è fatto conoscere al grande pubblico attraverso le collaborazioni e le produzioni che lo hanno visto partecipare a diversi album di primo ordine. Mykki Blanco, Kanye West, FKA Twigs e il preannunciato nuovo lavoro di Björk sono i suoi biglietti da visita.
Si fa chiamare Arca e collabora assiduamente con l’artista visuale giapponese Jesse Kanda che possiamo considerare come corresponsabile del suo successo nonché regista di quasi tutti i video rilasciati fino ad ora.
Si intitola Xen il suo album di debutto, la conferma rilasciata dopo una serie di sorprendenti EP (Baron Libre, Stretch 1 & 2, &&&&&). Ma Xen è anche il nome del proprio alter ego androgino, impersonato misteriosamente dallo stesso Arca attraverso i Social Network e reso trascendentale attraverso le strumentali e i backdrops che completano la sua (loro) visione.
Un sound, questa volta, meno ostentato e schizofrenico rispetto alle precedenti produzioni, una cifra stilistica assestata, ben riconoscibile e una impercettibile e complicata ricerca della melodia. Meno beat fine a se stesso e più strumentale nella forma canzone. Un filone che sembra terminare con Manners, ultima traccia del Stretch 2 EP e ricongiungersi con la prima del nuovo album Now You Know.
È come se i pezzi fossero stati partoriti in un luogo asettico, quasi come se tutto nascesse in una stanza vuota avvolta dall’oscurità, all’interno di un museo d’arte contemporanea.
Lo stesso ambiente sci-fi in cui si scatena il twerk della figura aliena nel video di Thievery, primo singolo estratto. Un dembow sbilenco sospeso da sinth orchestrali violenti e in alcuni passaggi del bridge davvero sublimi. Quasi a voler mescolare le proprie origini sudamericane con gli studi classici che ritornano in parecchi pezzi del disco (Held Apart, Family Violence,Sisters, Bullet Chained). Una sorta di space-reggaeton.
C’è modo anche di riprendere fiato nella complicata ragnatela di suoni ideati da Ghersi, un trittico di ballate provenienti da un luogo lontanissimo che spezzano la frenesia e lasciano spazio ad una malinconia da titoli di coda di film fantascientifici datati. La storia di una Sad Bitch che sembra prendere atto del proprio fallimento (Failed) , cade e si rialza riprendendo in mano la propria vita, rimarginando le ferite (Wound).
Tre anche i pezzi che si perdono nello sperimentalismo pieno di distorsioni e dissonanze che hanno caratterizzato un buona percentuale della sua discografia. La pioggia rumorosa di Fish, i suoni avvolti su se stessi di Tongue e il non finale di Promise non tolgono e non aggiungono niente al concept dell’album che invece scorre liscio nonostante la cacofonia di alcune soluzioni adottate.
Wonky, IDM, abstract hip hop, glitch, fino a scomodare la musica atonale; poco importano le definizioni di fronte ad un lavoro così maturo e visionario. Si ha come l’impressione che Ghersi abbia alzato, magari anche solo di un millimetro, l’asticella della creatività e che in qualche modo ti metta con le spalle al muro nel tentativo di descriverlo utilizzando tecnicismi coniati sul momento o aggettivi iperbolici.
Che poi lo stesso personaggio pansessuale creato da Arca possa essere in realtà nient’altro che una burla per azionare la macchina dell’hype, non è ancora del tutto chiaro. Tuttavia ha costretto la stampa specializzata, come un’intelligenza artificiale, a stare al suo gioco limitandosi a fare lo que le da la gana: valersi di un indiscutibile talento per scrivere un nuovo capitolo della sua discografia ma stavolta con un avatar pazzesco e un suono leggermente più amalgamato ed adatto ad un album, rispetto al passato. Non è quindi del tutto inverosimile che quasi tutte le date promozionali in giro per l’Europa siano andate sold out in pochi giorni e che ci sia una richiesta senza precedenti per vedere dal vivo un producer, quasi emergente, che di solito lavora dietro le quinte.
Non stupitevi se i primi ascolti dell’album saranno faticosi e pesanti, questo è un disco che necessita, più di altri, determinate circostanze e momenti della giornata adatti a mettersi su le cuffie e perdersi nella sua dimensione. Se vi capitasse, come è successo a me, di ascoltarlo di notte in una metropolitana semi deserta, l’unica cosa che vi verrà in mente sarà :
“Is this real life?”