Praterie e deserti, ma anche vicoli bui e squallidi bar nel nuovo album dei Guano Padano, 2, uscito il 13 marzo.
Di grande respiro internazionale, l’album mutua immagini e ambientazioni ai grandi film d’oltreoceano, primi fra tutti i western che, a ben vedere, all’Italia cinematografica e musicale devono tantissimo.
Un album di suoni pregiati e meravigliosamente diretti, quasi che i 3 stiano suonando nel vostro salotto. Il mio consiglio è di non lasciarlo al chiuso, però: porta con sè troppe immagini e troppo spazio per poterlo rinchiudere senza sentirsi in colpa. Almeno una volta mettetelo nell’autoradio se non nelle cuffie, lasciatelo andare, e voi con lui. Aprite alle cavalcate e alle campane da Mezzogiorno di Fuoco di Zebulon, perdetevi nei vicoli luridi di Gumba, cullatevi un po’ nelle malinconie di Nashville. Se volete farvi un regalo aprite i finestrini sul surf rock speziato di Gran Bazaar. Inventatevi una piccola coreografia sulla quadriglia scandita da banjo e violino di Bellavista e, se fosse, trovatevi anche una bella Daisy con cui ballarla. Lasciate andare i rimandi tarantiniani di Miss Chain ma senza ricorrere a citazioni bibliche e crani esplosi, resistete. Inventatevi un regolamento di conti sulla torrida e vibrante Lynch, la più bella di tutte, tra la chitarra surf e la batteria spazzolata. E alla fine di tutto, tornando a casa, abbracciate una ragazza a prendetevi il lusso di chiamarla “pupa”, una volta sola, con l’intensità di impomatata di altri tempi.
Poi, com’è facile che accada, passate ad un disco che abbia le parole. O ad un film con la trama. Bello ai limiti del sontuoso e magistralmente eseguito, nella stagione dei dischi strumentali, i Guano Padano si guadagno un posto di tutto rispetto e non è difficile pensare che la sua trasposizione live sarà di livello. Quel che manca è il piglio provocatorio, un contetuto personale o un po’ di maleducazione, che rendano questo lavoro qualcosa di più di un meraviglioso esercizio di stile.