Quando ho pensato di fare quest’intervista, in un certo senso immaginavo che sarebbe andata a finire così. Che, con Fabrizio Gabrielli (per inciso, uno dei miei scrittori preferiti) non si sarebbe potuto solo parlare dell’uscita di “Rapyuela II: da altre parti” seconda uscita dell’ambizioso progetto che promette di far incontrare il genio di Julio Cortazar con il rap, grazie alla metrica di Fabrizio, uno che il rap l’ha fatto attivamente per tanto tempo, e le meravigliose strumentali di Pruno, con cui avevo discusso della prima perla della saga(?).
In un certo senso, dicevo, me l’aspettavo. Magari non proprio così, ecco. Più che le risposte ad un’intervista le risposte di Gabrielli sembrano un trattato di sociologia applicata alla letteratura. E al rap.
Questa seconda parte era già prevista, o è stata una conseguenza naturale del successo della prima?
Allora, se volessi fare il furbetto ti direi che sì, certo, era già prevista, come sarebbe a dire, tutto calcolato. La verità è che no, non lo era. e no, non ci aspettavamo che la prima facesse così breccia. Anzi: io in realtà temevo un po’ la ricezione da parte del pubblico. Soprattutto dei cortazariani più incalliti, e ti confesso che l’unica ròba che mi sollevava era il fatto che sì, quando sarebbe uscita io sarei stato nelle americhe, qualcosa che mi garantiva una specie di corazza, non so se mi spiego, una lontananza – che non è mai poi così lontana, coi social – che mi avrebbe “protetto”. Da cosa, poi, chi lo sa.
Comunque poi è andata che Pruno aveva un beat nuovo, il beat nuovo era una discreta sassata e ci siamo detti occhèi, facciamolo di nuovo
Temevi che il rap potesse “sconsacrare ” Cortazar?
Diciamo così. Non temevo una critica, come spiegarlo, di tipo “accademico”: l’ho scritto anche oggi, l’accademia lasciamola dove sta, gli atti d’amore sono spesso sconsiderati. Temevo che la commistione JC+rap fosse qualcosa di difficilmente afferrabile, e quindi sì, forse facilmente travisabile in “esibizione clownesca d’amour fou”. Non so come spiegarlo meglio: come quando fai lo sciocco e il burlone con la tipa che ti piace tanto all’ultimo banco del liceo, che in tanti anelano, e hai paura di risultare ridicolo, capisci
Ahah si, assolutamente, una brutta situazione.
Ma l’amore DEVE essere ridicolo, nelle sue esternazioni. Credo. A volte. Non so.
Touché. Ma, ecco, l’amore. Cos’è che ti ha fatto innamorare di Cortazar, e, di rflesso, quale tipo di amore hai provato ad esprimere?
Guarda, non è stato un colpo di fulmine, o forse sì, ma di quelli dei quali poi ti accorgi a posteriori, no. Semplicemente l’ho conosciuto. Ci siamo iniziati a frequentare. Dopo un po’ che ci piacevano gli stessi locali, le stesse patate e lo stesso brachetto (cit. nazipop) ho capito che mi piaceva moltissimo
Amavo già un bel pezzo di letteratura sudamericana, ero abbastanza in fissa con Alejo Carpentier, anche se poi c’è tutt’un’altra essenza, là, rispetto a JC. Forse quello che mi ha colpito, molto, è trovare in JC un ponte tra l’Europa e l’Argentina, non so, forse questo così come il rap, dopotutto, mi è subito piaciuto nella misura in cui stabiliva un ponte tra me e l’America o la Francia. Quindi l’amore trasposto non è stato tanto di ordine contenutistico quanto, azzarderei, “strutturale”. I ponti, le gallerie sotterranee, quelle cose là, un amore di concetto, valà.
Perché non esplicitarlo con una specie di slam poetry, magari in lingua madre, perché scegliere il rap? (solo perché è una cosa che avevi già fatto, e alla grandissimo. Al tuo passato ci arriviamo dopo)
Quando ho letto per la prima volta il capitolo 7 (so che dirò una cosa da ragazzina del liceo classico, ed il capitolo 7 è stato un discreto sganassone, per me) in testa mi è suonato così: bum. cha. bum bum. cha. C’era il battito atavico del cuore che si fonde con un altro, si sincronizzano, e diventano uno soltanto, il Grande Atavico Cuore del Ciclope. E quel ritmo là, di quella frase d’apertura “toco tu boca con un dedo toco el borde de tu boca” l’assonanza, l’allitterazione, il suono strusciato delle fricative bilabiali. Quello è materiale rappico. O forse, quando hai una deformazione, ci trovi del materiale rappico. Forse il concetto della deformazione ti risponde, del tutto o in parte risponde alla tua domanda: perché il rap? perché ci ho sentito subito quel groove là.
Ovviamente suona bene anche letto a voce alta in lingua madre. Per questo al mio matrimonio l’ho fatto leggere, per metà in lingua madre e con un cambio repentino all’italiano. Come in quell’altro racconto, Signorina Cora, che non si capisce (pur capendosi benissimo) chi sta parlando per dire cosa. [e bada bene: non è che faccia rap tutti i giorni, da una decina d’anni a questa parte. però certe vibrazioni le senti, io almeno lì l’ho sentita] E nel gliglico del capitolo 68, che è la seconda strofa di Rapyuela, c’ho trovato lo slang, l’inventazia di neologizmi che si sposava troppo bene con la doppia acca.
Questo progetto ha futuro? potrebbe diventare un album? Un Ep, un qualsiasi cosa, o lo ritieni ancora troppo “elitario”.
Vorremmo tanto farlo diventare qualcosa, e dài e dài alla fine lo diventerà, siamo fiduciosi. E’ stata anche l’accoglienza entusiasta di Marco Cassini e Giulia Zavagna e tutta Sur a darci una spinta in più. Intanto ci piacerebbe portarlo un po’ in giro, mescolarlo anche se vogliamo con quell’idea che dicevi prima tu delle letture. Fare un po’ una Cronopìade con cose tipo storie di cronopy lette, rap, bere fernandos, fare cose così.
Elitario? Può essere. lo trovi elitario tu?
Rispetto al rap di oggi sì, una cifra.
Alla fine forse un po’ lo è. Ma cos’è l’elitarietà? Dici perché è legato alla letteratura?
Vuoi o non vuoi il rap è assimilato spesso ad altro. Purtroppo la letteratura non è la prima cosa a cui pensi oggi quando senti il rap. Mia madre pensa che il rap sia una brutta cosa, il mio cugino di 17 anni medio (che non esiste) secondo cui i Dogo spaccano, non ha mai letto Il Giovane Holden.
Triste sì, generalista pure, ma credo abbastanza reale. No?
Dieci anni fa il rap tua madre lo avrebbe pensato una brutta cosa perché assimilato alla cultura posse da centro sociale. Ma magari tuo cugino, che somiglia a quello di Manusia, che si faceva le canne e andava ai collettivi avrebbe alternato i Sanguemisto alle lettere di Gramsci
Oggi gli si è cucita intorno un po’ un’aura da brillantini, bling bling e thug life, forse sì, ma non saprei dirti bene.
Mio cugino di 10 anni fa sì, sono d’accordo. Il mio cugino nato nel 97 non ce lo vedo.
Non so, credo che la fruizione della letteratura oggi sia proprio un’altra cosa.
Corretto.
Ma non vorrei passare per un bacchettone: magari oggi chi si ascolta il rap si vede delle serie tv molto fighe, che forse sono the new lit. Quindi che ti dico? un paio d’anni fa Marracash disse che leggeva molti libri e fece parlare di sé, per dire. Nel senso che sembrava a tutti stranissimo
Proprio a quello mi riferivo, se Neffa e Gruff mi dicessero “figa la non fiction letteraria, mi sono appassionato” sotto un certo punto di vista me l’aspetterei.
Non dico che i Dogo non leggano, ma che A) l’età media dei fruitori si è abbassata e B) (che è una conseguenza) la cultura è una cosa che cresce con l’età.
Elitario per quello, ma magari non è la parola esatta.
“Analogico” è forse l’aggettivo esatto. ma no, forse neppure quello va bene. E la cultura non passa solo attraverso i libri, quindi non saprei come uscire da questo buco nero che si spiana alla fine dell’imbuto. Certo, a me è successo che dopo aver sentito il pezzo rap alcuni mi abbiano chiesto chi fosse JC, se ne valesse la pena.
Tornando al pezzo in se per se: quindi nasce prima la strumentale e poi le parole, giusto?
Come sempre. O almeno come succede sempre a me. In realtà di Rapyuela II sono nati in parallelo beat e parole. Senza conoscersi l’un l’altro e poi si sono incontrati, e limati a vicenda.
Mi fido ciecamente delle intuizioni da producer di Pruno, e so che parlando dell’aria che vogliamo dare al pezzo poi riesce a esprimere l’atmosfera ricercata. è un atmospheremaker più che un beatmaker.
Bella l’immagine. Ultima e poi tolgo il disturbo: “perché (tempo fa) hai smesso”?
Perché sapevo che non avrei smesso davvero del tutto. Oppure semplicemente, sapevo che non avrei (voluto, forse) fatto strada là. E quindi, autocitandomi arriva il momento in cui “investi l’inchiostro che versi nei testi in diversi contesti”.
Del rap mi è sempre piaciuta più la faccia del calembour, degli incastri di parole, di quella della performance live. a quarant’anni coi pantaloni baggie non mi ci vedevo. A incastrare rime: un po’ sì.