“Apotheke”, farmacia. Un esordio che somministra parole, quello di Simone Olivieri. Parole prese da pagine ingiallite di vocabolari alle prime edizioni, quelle che l’orecchio non ascolta di frequente e Olivieri dosa con posologia attenta, da foglietto illustrativo. Una voce lineare, a tratti incerta, che si tiene su una forma pienamente cantautorale ma leggera, tra chitarra acustica, organetto vintage e basso tuba.
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NON E’ CHE UN BENE ORMAI
E’ il brano che accompagna dentro il disco, come le prime luci dell’alba conducono nel giorno. Un tappeto di un antico organo è l’oscurità avvolgente, profonda e disorientante, che a poco a poco si dirada e prepara all’apertura dei raggi solari, un improvviso squarcio di luce che sembra donare respiro e una direzione che prosegue poi nel resto dell’album.
IL FOLLE
Spinto dall’introduzione del brano precedente, questo pezzo da subito inizia a correre con vivacità, con un arpeggio di chitarra puntellato continuamente sul suo cammino da agili e leggeri interventi di altri strumenti e cori che si aprono e chiudono. E’ l’unica canzone di amore del disco. Trae spunto da una vecchia foto che immortala un momento in cui è ormai chiaro che le distanze sono incolmabili, il destino è scritto e nessuna grande azione può porvi rimedio, ma nonostante ciò è impossibile dirsi addio.
INCESPICO
Un pianoforte scuro, deciso, marziale cui si accoppia subito una batteria così aderente che non fa respirare. La prima parte del brano è cupa, angosciante, sembra non ci sia speranza. Il senso d’inadeguatezza, dubbio, immobilità crea un vortice in cui la melodia e il tempo ora inciampano su se stessi ora si dipanano in modo circolare per tornare su se stessi come in un vortice. Ma dietro l’angolo c’è un’improvvisa pausa liberatoria che lava via tutto, e la lucente esplosione del ritornello finale fa scrollare di dosso il malessere in una coda euforica.
RESINA
Dopo l’incedere prima marziale e poi scoppiettante del brano precedente, in questa canzone tornano un arpeggio di chitarra più largo e libero e una voce dai toni rilassati. Ma le parole tradiscono un altro dei veleni contenuti in questa “farmacia”, quello del sentirsi intrappolati in un’immagine, del non riuscire a fare nulla per modificare un’idea, come non avere concessa una possibilità, proprio come succede all’insetto quando il colare della resina lo sorprende e lo immobilizza per sempre.
CONTRORA
Da un insetto ad un altro. Qui arrivano le cicale, ed è subito estate, caldo, afa, sole a picco, quiete, riposo. La controra è l’ora della giornata che separa la mattina dalla sera. Allo stesso modo in questo disco è la traccia strumentale, un intermezzo, che separa la prima parte, più chiara e luminosa, dalla seconda, più crepuscolare.
APPESA
Dopo il sole la notte, dopo le cicale i grilli. Questo è il primo brano della seconda parte dell’album, ed è infatti una canzone notturna, inquieta. Il protagonista vaga di notte senza meta, solo per fuggire da qualcosa. Da un lato cerca di rassicurare, da un altro fugge un’attesa, cui è condannato, di qualcosa che però non si concretizza mai. L’organo di inizio album torna a soffiare minaccioso, in un finale percussivo e in crescendo che sottolinea l’angoscia della ricerca al buio di una via d’uscita.
IN CAUDA VENENUM
“Il veleno è nella coda”, così con questo brano inizia la coda dell’album. Questa canzone distilla il tema principale del veleno e degli antidoti, su cui si fonda il tema intero dell’album che ha portato al titolo “Apotheke”, l’antica farmacia in cui si custodivano proprio veleni e antidoti, e in cui si cercavano alchimie curative. Un arpeggio di chitarra esamina il veleno; gli interventi di pianoforte e organo sono l’antidoto che prima cura e poi dona l’immunità. Come in “Incespico” quindi, prima il malessere, poi la reazione, infine la liberazione.
TEMPESTA
Questo pezzo strumentale è nato dalla noia e dalla frustrazione indotta da una prolungata deprivazione sensoriale. Arrivato al tramonto tutto si è scaricato su un pianoforte pestato violentemente per sfogarsi. E’ il pezzo più potente e straniante del disco. L’armonia discendente sembra portare sempre più in profondità, girando su se stessa come un ciclone, come una minaccia che si avvicina, una “tempesta” che si annuncia all’orizzonte, spaventa da lontano e poi si palesa in tutta la sua furia. Le chitarre entrano lancinanti come fulmini nel cielo, la batteria scoppia come tuoni. Alla fine tutto si quieta di nuovo. Rimane solo distruzione e silenzio.
SETTEMBRE
Questo è il pezzo che sapevo sin da subito sarebbe stato perfetto come ultima traccia dell’album. Crepuscolare come i precedenti “Appesa” e “In cauda venenum”, è la giusta prosecuzione di “Tempesta”. Dopo la violenza e la distruzione della tempesta, infatti, torna il silenzio. Esausti dalla battaglia e dalla tempesta si riprende possesso di sé, ci si ripara per ritirarsi, invocando un lungo riposo che porti il meritato conforto. La chitarra culla dolcemente, le voci, l’una sull’altra, circondano in un abbraccio. “E’ ora di sparire”.