Come se non bastassero tutte le dritte musicali che giornalmente DLSO vi offre arriva ancora una volta il super recap mensile che si spera sia diventata già una vostra lettura abituale. Le regole del gioco restano sempre le stesse: tuffarsi a capofitto nella miriade di uscite discografiche che settimanalmente arrivano sul mercato per portare alla luce quelle che più ci hanno colpito, senza badare al potenziale commerciale che queste rappresentano. Il filo rosso che collega il tutto resta quello dell’elettronica applicata alla musica ma in questo senso non garantiamo di poter, o voler, restare nel proverbiale seminato. Il consiglio resta sempre uno solo: fatevi sorprendere!
A quasi un anno di distanza dall’uscita del suo “No Deal” ritorna Melanie de Biasio con questa raccolta di remixes dei brani di punta di quel suo fortunato, intenso album. L’impronta del benevolo patron Gilles Peterson è subito riconoscibile, basta dare una scorsa ai nomi dei vari remixers che si sono avvicendati nell’arduo compito di rielaborare le interpretazioni della musicista e cantante belga. Eels crea un suggestivo sottofondo di Mellotron per “I Feel You”, “The Flow” trova nella versione dei giapponesi Hex il contraltare ritmico ideale così come Seven Davis Jr. rende la title-track adatta per il dancefloor. La rilettura del classico di Nina Simone “I’m Gonna Leave You” è presente in ben due versioni, quella futuribile prodotta dal nostro connazionale Clap! Clap!, che ne conserva intelligentemente l’anima jazzy pur imprimendo la sua riconoscibilissima e massiccia impronta e quella più visionaria e d’atmosfera dell`immancabile Cinematic Orchestra. Operazioni discografiche come questo “No Deal Remixed” non sempre sono ciambelle che riescono col buco, in questo caso il risultato è a dir poco entusiasmante.
Uffe Christensen, danese con base operativa ad Amsterdam, è un produttore che pensa hip hop, compone con la tradizione soul nel cuore e che osa avventurarsi con i suoi beats anche dalle parti dei bmp della disco. Per Tartelet Records, dopo il suo EP d’esordio del 2012, ritorna a tagliare ed incollare un collage di samples, strumentazione di ispirazione vintage sporca e polverosa quanto basta e vocals sognanti. Un patchwork, quello di Uffe, che sa di house di declinazione detroitiana, di suggestioni afrobeat, di jazz. “Radio Days” è il tipo di album che potrebbe piacere a quanti si sono fatti affascinare dai recenti lavori di Kareem Mosse e Frank & Tony, agli appassionati di strumentali hip hop irrimediabilmente “stoned” o ai nostalgici di certo “french touch” di metà anni 90. A riprova di questo basta ascoltare “Space Loop” e “Lemon Song”, riempipista naive e minimali come ne avrebbero prodotti Daft Punk o Alex Ghoper se i dischi avessero continuato a registrarli fino ai giorni nostri nelle camerette degli umili inizi.
Abbandonato lo pseudonimo di Ramadanman, con il quale ha contrassegnato (in alcune delle sue pagine più interessanti) quel genere musicale un po’ dimenticato ed un po’ bistrattato che è la Dubstep, David Kennedy dà finalmente alle stampe il suo album d’esordio sotto il nuovo moniker Pearson Sound, quasi a dieci anni di distanza dalle sue prime prove discografiche. L’esuberanza delle sue produzioni “giovanili” lascia il posto ad una nuova sobrietà, un’ essenzialità che nel corso di tutto questo suo album riduce lo spettro sonoro a pochissimi elementi scelti con cura certosina. Onnipresenti le frequenze basse che fungono tanto quanto da superfici assorbenti che tutto risucchiano come da fondamenta sulle quali vengono intessute trame poliritmiche complesse nel disegno ma basilari nei materiali che le compongono. Hi-hats sferraglianti per lo più, snares, tom toms o handclaps usati con senso della misura ed avvolti nel riverbero degli spazi cavernosi nei quali Kennedy colloca le sue sculture sonore, e davvero poco altro ancora. C’era una volta la Dubstep, o forse c’è ancora. Di sicuro Pearson Sound si trova già distante da essa e non sembra essere intenzionato, per ora, a guardarsi indietro.
Un altro transfuga dal genere musicale sopracitato è Appleblim, che approda su R&S dopo aver dato il via assieme a Shackleton all`avventura Skull Disco passando per Aus Music. In compagnia di Second Storey il londinese è impegnato dallo scorso anno nel progetto ALSO con un EP all’attivo e l’uscita recente di questo primo longplayer. Il duo funziona in perfetta armonia riaggiornando il bagaglio sonoro caro alla IDM britannica d’annata, con la sua ossessione electro e lo sguardo fisso a Detroit, aggiungendo una buona dose di sound design avanzato che è tutto tipico dei nostri tempi. Nulla in questo disco è direttamente e smaccatamente dancefloor-oriented, quello che il duo cerca di ottenere è piuttosto un gioco raffinato di luci e ombre, e anche se la cassa picchia dura in tracce come “Rant Checks” e “Dive Prophets” non è per semplice funzionalità fine a se stessa ma è piuttosto parte di una drammaturgia ponderata e soppesata. Un disco per liberare la mente innanzitutto, le gambe comunque non tarderanno a seguire.
Jlin è una delle più interessanti nuove firme a venire fuori da quel calderone in continua ebollizione che è la scena Footwork. La sua vicinanza con i nomi che contano della Windy City Chicago non le impediscono di abbandonare i sentieri già battuti e di percorrere una strada propria perseguendo solo ciò che gli viene dettato dalla propria ispirazione. Da qui la scelta di non usare l’armamentario di samples tipico del genere ma piuttosto di comporre e poi riarrangiare materiale musicale originale. Le suggestioni world ed etniche che percorrono questo “Dark Energy” per tutta la sua lunghezza vengono estrapolate dal loro contesto d’origine per andare a formare un complesso, alieno puzzle sonoro che mantiene del genere d’appartenenza l’energia e l’ipercineticità ma che osa sfidarne le convenzioni. Garantisce come al solito Planet Mu.
Da Barcellona arriva il produttore Juan Cristóbal Saavedra. Il suo progetto musicale Equipo viaggia in parallelo ad una attività che lo vede impegnato dei campi artistici più disparati, dal cinema al teatro, dalla danza contemporanea alle arti visuali, ed approda ora su etichetta clang con questo suo album intitolato “Simulaciones”. Techno ad effetto la sua, in alcuni momenti dai tratti severi non dissimili a certa EBM ed in generale con una chiara propensione per il gesto plateale, per il dramma. Musica non priva di un certo fascino, inequivocabilmente e sanguignamente latina.
Ritorna LoneLady con il seguito del suo album d’esordio “Nerve Up”. Come sempre, la multistrumentista e cantante si muove tra scenari che ricordano il post punk nervoso e “diversamente funky” che nell’ultimo decennio e mezzo circa è stato talmente rivalutato fino a diventare una delle principali ispirazione per innumerevoli musicisti e labels, prima fra tutte la tanto celebrata DFA. Il fatto che anche questo disco arrivi sul mercato con targa Warp farà storcere ancora una volta il naso ai puristi della label, e comunque non per la prima volta e non solo per la stessa LoneLady (basta ricordare su tutti il caso dei Maximo Park, ma si potrebbero tirare anche in ballo i Grizzly Bear o i !!! e si farebbe notte a discuterne). La maestria con la quale Julie Campbell, così è conosciuta LoneLady allanagrafe, si mantiene in equilibrio tra una spiccata vena pop e la spigolosità che lo stile da lei adottato richiede è comunque più che ammirevole. La sua distintiva vocalità, con inflessioni che rimandano il pensiero a Chrissie Hynde dei Pretenders, la rende immediatamente riconoscibile e fa si che le canzoni che compongono questo “Hinterland” si appiccichino alla memoria dell’ascoltatore in maniera pressoché istantanea.
Ritornano anche i worriedaboutsatan a sei anni dal loro album d’esordio “Arrivals”, rinvigoriti dopo una separazione durata alcuni anni e pronti a ripartire da dove il loro discorso musicale si era bruscamente interrotto. La visione musicale del duo, composto dai britannici Thomas Ragsdale e Gavin Miller, sembra essere più attuale che mai e ben si allinea a quei lavori discografici che negli ultimi anni hanno coniugato l’elettronica ad una certa introspezione e gusto per commistione con esperienze sonore di derivazione post rock, shoegaze e krautrock. Le chitarre quindi entrano a far parte dell’arsenale sonoro ma si adattano benissimo al tutto grazie alla maestria con la quale vengono riprocessate ed alla attenzione con la quale vengono adottate. Un disco questo “Even Temper” dove il phatos scorre nascosto, sotto traccia. Intimismo techno per giornate primaverili di pioggia, aspettando il sole.
Esce per l’etichetta giapponese Nothings66 l’album “Distant Present” del produttore islandese Örnólfur Thorlacius aka Ozy. Con maestria e sensibilità Ozy crea evanescenti panoramiche tra ambient, dub techno e l’elettronica più astratta ma quando il caso lo richiede sa anche produrre con parsimonia beats ipercompressi e ruvidi che fanno venire alla mente le techniche usate nell’era d’oro del trip-hop. Il disco è godibilissimo, facile perdere il senso del tempo che scorre tra i suoi solchi, senza essere necessariamente rivoluzionario ed include anche due remix firmati da Laurel Halo e Miles Whittaker del duo dei Demdike Stare.
Un’ inedita collaborazione tra la cantante Anna Caragnano ed uno dei produttori italiani più interessanti, Donato Dozzy da vita all`album “Sintetizzatrice”, in uscita tra pochi giorni su Spectrum Spools. Nelle sue nove tracce il disco vede la voce della Caragnano unica protagonista e materia prima duttile della quale sono composti gli elementi ritmici, armonici e melodici dei quali Dozzy si serve per creare, come un paziente artigiano, i molteplici strati che formano un insieme sonoro sottilmente evocativo e di grande bellezza.
Il norvegese Alexander Rishaug è un musicista e produttore dal curriculum lungo e variegato punteggiato da innumerevoli collaborazioni, dimostrazione di mentalità aperta, spirito eclettico e vocazione alla ricerca e alla sperimentazione artistica a tutto campo. Il suo progetto “Ma.Org Pa.Git” (in uscita su label Cronica) consiste di due lunghe tracce rispettivamente dedicate all’esplorazione dell’acustica di un organo da chiesa ed al suono delle sue meccaniche ed alle possibilità sonore offerte dal feedback creato da una chitarra elettrica ed al suo rispettivo amplificatore. Tra drone music e musique concrète, i due brani forniscono anche il materiale grezzo per il cast internazionale di remixers coinvolti nella seconda parte di questo progetto, “Ma.Org Pa.Git Re.Mx” ne è il titolo. Ed è qui che il divertimento comincia. Dall’olandese Machinefabriek con la sua ambient lieve ed onirica al rumorismo del giapponese Tetsuro Yasunaga, dalla cascata di feedback di Seaworthy, dall’introspettività della melodia timidamente accenata da Svalastog alle micro-modulazioni del drone infinito di Mark Fell, tutte le varie anime della sperimentazione sonora vengono rappresentate in questo disco in maniera più che convincente.
“Sonic Blue” è un diario di tour sonoro come forse non ne sono mai stati realizzati finora. L’autrice Angélica Castelló, musicista, compositrice e sound designer messicana, ha collezionato registrazioni sul campo realizzate durante le navigazioni effettuate assieme ad un team di ricercatori intorno alle isole Lofoten, in Norvegia. Le tecniche di registrazione usate hanno inoltre permesso alla Castelló di catturare materiale sonoro direttamente dalle profondità marine ed è con questo che campionario che l’artista ha composto due lunghi patchwork sonori, “ártico / mediterráneo / pacífico” e “índico / caribe / golfo / atlántico”. Un ascolto altamente intrigante anche se non propriamente, strettamente musicale. Per viaggiatori della mente e dell’anima.