For Christ’s sake. È un’espressione gergale americana che mi è sempre piaciuta molta. Indica noia, rabbia, ma è anche invocativa, ti dà l’impressione di poterti aggrappare a qualcosa nei momenti in cui gratti il fondo. JMSN è uno di quelli che questa frase deve averla pronunciata molte volte nella vita, quando i genitori si sono separati ed è andato a vivere col patrigno, quando ha visto per la prima volta una chitarra all’età di 12 anni non desiderata, quando qualcuno gli ha suggerito di usare come primo moniker Christian TV.
Cristo è anche l’ispirazione dietro molti dei suoi lavori, il fil rouge che l’ha guidato nella creazione di un corpus di opere organico e coerente. Ed è il filo rosso che tiene insieme i suoi live, un’esibizione in fondo breve, che dura appena un’ora. 60 minuti che viaggiano da Priscilla a Love and Pain, in cui il cantante americano riversa tutta la rabbia accumulata da bambino in un microfono che urla perdono e assoluzione. JMSN si veste come un indie di Londra dei primi 2000, ma si porta dentro gli stessi anni ’90 di Justin Timberlake. Da un colpo al soul e uno al pop. Canta con la voce bianca da chierichetto, ma spinge sulla batteria come ad un live dei Linkin Park. Il concerto non è di quelli che ricorderemo per le prossime 10 stagioni, la gente era poca ma ottima intenditrice.
Forse abbiamo solo bisogno di riabituarci alle performance ridotte all’osso, dove l’unica cosa che puoi fare è ascoltare la musica, dove le distrazioni da show studiato al secondo sono ridotte al minimo. JMSN non mi ha fatto venire i brividi sotto pelle. Ma mi ha ricordato quanto è importante saper valorizzare l’essenzialità.
Foto gallery a cura di Nicolò Parsenziani.