Ogni due anni un progetto: sembrerebbe essere questo il piano di Rakim Meyers, in arte A$AP Rocky, per restare lassù.
La novità più evidente di At.Long.Last.A$AP è la strumentazione live delle basi. Perno dell’innovazione è Joe Fox, artista di strada fino ad una notte londinese di qualche tempo fa, quando Rocky lo fece montare in una macchina scura capovolgendo la sua esistenza.
La prima traccia, Holy Ghost, ha infatti evidenti radici rock. L’MC è subito a suo agio, spiega l’incompatibilità del suo stile di vita con le abitudini di un cristiano praticante, seguendo gli schiamazzi di un pastore campionato a pennello. La vita di chiesa e la vita di strada sono dipendenze differenti, ma parallele. Quale prediliga lui è chiaro dal principio, e sempre di più lungo l’ascolto.
Canal St. è un’insistente e sentita similitudine tra il rap-game e il crack-game; un’omaggio a Jay-Z, Biggie e quel Rakim con cui condivide il nome di battesimo: tre giganti che maneggiavano polvere, ori e parole molto prima di lui, proprio sul ciglio di quella via di Manhattan.
Il beat spazioso si addensa nel ritornello, che campiona frasi e suoni contagiosi da un brano di Bones, personaggio emergente del cloud-rap con tutte le fattezze di un fenomeno di internet.
Trattamento ancora più moderno per il beat di Fine Whine, pescato dal rapper digitando “Asap Rocky type beat” su Youtube, e impreziosito poi da THC. È un’ode alla codeina, proprio la sostanza che ha causato la scomparsa di Yams, mentore e compare di Rocky onorato nella copertina. La tensione sale con i nomi dei featuring, e dopo un rabbioso sfogo di MIA segue la delusione sentimentale di Future, sempre adagiato sul filo tra street-rap e r&b, tessuto di recente da lui e molti altri. Il tutto risulta in una viscosa, lenta cascata di lacrime color porpora.
Altra sostanza che piace e ispira è l’L$D, e la traccia quattro è un viaggio prettamente pop, non a caso uscito come secondo video del progetto.
Nel video una digressione introduce Excuse Me, a spezzare l’umore di chitarre e voci morbide. Qui la traccia è distinta dalla precedente, ma l’effetto è lo stesso: Rocky sembra scusarsi per la sua esagerata lucentezza, in un’ipnotica giustificazione per i bassi pesanti. Jim Jonsin e Hector Delgado garantiscono un mixaggio impeccabile, pronto indistintamente per le radio o i club.
Mr Meyers si alza in piedi: due pezzi brevi e potenti di rap rettilineo, una terza inebriante in cui Schoolboy Q ricambia il favore di qualche anno fa (Hands on The Wheel fu un piedistallo non da poco per entrambi, PMW uno dei momenti salienti di “Long.Live.A$AP”).
Manca il fidato Clams Casino, c’è comunque la voce gravemente pitchata a fungere da tenebroso alter-ego del rapper. C’è inoltre spazio per producers emergenti e semi-famosi come Nez&Rio, Plu2o Nash, Vulkan The Krusader, ma anche per nomi rimbombanti.
Jukebox Joints è opera di Kanye, da tempo nell’olimpo di moda e hip-hop e per la prima volta in studio con il suo giovane simile. Un campione soul, ovviamente, ma senza kick pesanti. Flow rilassato e facile, il beat che cambia due volte, e una strofa finale di “Ye Guevara”, che si definisce un uomo nero con l’autostima di un bianco. Un sample di Leonard Cohen aiuta Rakim a commemorare Max B, rapper condannato a 75 anni di carcere, il cui destino pare sempre più vicino ad ogni passo verso lo specchio.
La fiducia in se stesso è più grande dei tremori, e Rocky cresce anche come producer. Oltre a Max B, il credit “Lord Flacko” è in coda a Dreams, e da producer addizionale riecheggia in altri quattro pezzi. Abili giochi di parole compongono Pharsyde, una dura riflessione sui vani sforzi della vita nel ghetto, con un finale rigetto di ogni preoccupazione, perché dopotutto lui si può permettere ogni singolo carattere di Love,$ex,Dreams.
Di introiti senza fondo parla Wavybone: Juicy J campiona Raekwon (newyorkese, guardacaso), e gli snare dell’808 invitano in studio lo storico duo UGK, compreso il defunto Pimp C. West Side Highway (con James Fauntleroy) e Better Things esplorano il rapporto di Rocky con il sesso opposto, tra stereotipi veri o fasulli, tentazioni trascurabili o fuori controllo.
M’$, proprio come LPFJ2, è un enorme esplosivo, artificieri Mike Dean e Honorable C-Note. Rocky esegue una strofa lunga, mentre la seconda (presente nella versione uscita come singolo) è sostituita da versi di Lil Wayne, qui in forma smagliante ed esagitata, come in un autentico freestyle in climax ascendente.
L’ambizione funge da fattore determinante per il suo personaggio: Rocky ha già da tempo un gran contratto, e non ha intenzione di rallentare la scalata della sua reputazione. Icona della moda nel sottile confine tra streetwear e alta moda, l’uomo di Harlem vi si inserisce credendo pienamente nel suo genio, discreto o immenso che sia.
Il titolo più scintillante è Everyday, singolo per cui Rocky recluta Miguel e Rod Stewart, quel Rod Stewart. Alla produzione due impeccabili esperti della musica pop moderna: Mark Ronson e Emile Haynie.
Sorprende solo in parte la presenza di Danger Mouse, ad assicurare da executive producer una maggiore coerenza sonora del disco intero rispetto al precedente, e da produttore vero e proprio ad interpretare sapientemente i piani del pensiero A$apiano, con una visione esterna al pianeta hiphop.
Il duo aveva già collaborato per la ben riuscita Phoenix, anche lì con un risultato che permetteva a Rocky di veleggiare tra le epoche con tranquillità: qui si susseguono campioni soul, dream pop e southern rock fino all’ultimo pezzo, una sontuosa citazione old school prodotta da Thelonious Martin. Anche chi si affida a specchi e luce propria non è immune alla nostalgia dell’odore di casa: Back Home è impostata su un giro reiterato di piano, una nota sola, casse dritte e così, mentre si attraversa la strada, Mos Def compare per un’ormai rara strofa da ospite, e la benedizione dell’uno spiega l’ego dell’altro.
Non ci sono featuring interni all’A$AP Mob, nemmeno l’atteso Ferg: sana competizione, forse, e l’urgenza di tentare di stilare un capolavoro con nomi grandiosi. Unica apparizione proprio il compianto Yams, che nell’outro sprona tutta la crew a tenere strette le redini del rap e della moda.
Ne esce un ottimo album hip-hop, di un ottimo rapper con una personalità sempre più definita. Si può supporre con minima cautela che A$AP Rocky continui a pubblicare album solidi per diversi anni: ha già ora il giusto numero di idee, scellini e conoscenti.
La dicitura “worldwide” accanto al marchio A$AP è sempre più calzante, le scarpe sempre più costose.
Tutto questo durerà a lungo.