L’oltre.
Da anni Stephen Bruner bka Thundercat vi è immerso, da anni cerca una via d’uscita, perché sapere troppe cose spaventa, indebolisce fino al margine del più doloroso ossimoro.
Risulta complesso paragonarlo ad altre figure, se non ipotizzando improbabili distorsioni della realtà: sembra un parente di Curtis Mayfield cresciuto su un altro pianeta, ricorda un discendente di Stanley Clarke nato decine (o migliaia?) di anni dopo.
La zampillante personalità di Thundercat si percepisce anche nelle sue comparse da bassista di virtuoso supporto: l’impatto dei suoi polpastrelli è concreto nei due ultimi album di Erykah Badu, straripante nel nuovo lavoro di Kendrick, evidente nella produzione di Flying Lotus dal 2010 a questa parte.
Proprio Flying Lotus ha prodotto (da esecutivo, o da compositore vero e proprio) ognuna delle sue fatiche da solista, quest’ultima compresa.
Rispetto a “The Golden Age…” e “Apocalypse”, di cui è conservata la forte presenza della prima persona nei testi, l’EP è di più immediata comprensione: aiuta la durata limitata, che a sua volta favorisce l’omogeneità sonora.
Nel breve, riverberato intro, Thundercat perde il suo corpo insieme alle percussioni, tutto svanisce per un minuto nel gelo.
Song For The Dead è un’ode a chi se n’è andato: riprende il messaggio ad Austin Peralta che chiude Apocalypse, e porta alta la stessa serena accettazione della morte che permea l’album di Flying Lotus. Il viaggio è sicuro, la via di casa appare quasi ovvia.
Snare e hats di Lotus ad indicare il tragitto, il basso di Bruner a spostare gli ostacoli, salite facili e spine estinte.
Il centro del paradosso è Them Changes: è una felice parabola funk, che suona come gli Isley Brothers dopo un anno di presenza fissa al Low End Theory. Con lui, brindano al soul anni Settanta il pianista Dennis Hamm e il sassofonista Kamasi Washington (fresco di glorioso e complesso esordio solista su Brainfeeder). La gioia tutta losangelena è contraddetta dal testo, la cui diagnosi legge cuore perduto, foro scuro nel petto.
Il dubbio, parte cruciale di ogni viaggio simbolico, si manifesta in Lone Wolf And Cub, proprio attraverso l’immagine di un lupo, il più sicuro dei carnivori, qui indeciso sul futuro del cucciolo che accudisce.
Sembra fermarsi di fronte ad un bivio, per tre minuti esatti: il beat cessa, e i pensieri corrono con il basso, cerchi concentrici e cerchi incatenati, i limiti si svuotano di importanza.
Arriva quell’attimo, That Moment, nient’altro che un minuto di luce.
Ora è chiaro, l’anima rimane e rimarrà.
Se l’Apocalisse è il caotico percorso, questa è la profonda risoluzione. Potrebbe trattarsi anche di un singolo istante, tanto è fugace la calma.
La traccia finale dipinge Thundercat seduto, intorno a lui vaganti i giganti Nefilim, figli degli angeli caduti.
Se si alza in piedi, con quelle piume ad odiare i limiti, quasi non si distingue.
Quasi quasi, è uno di loro.