La prima cosa che ho notato ascoltando Let It Happen è stata lo strano modo in cui Kevin Parker pronuncia la parola “happen”. Per me, italiano cresciuto ascoltando cantare prevalentemente signori di New York, quel “happen” suona davvero in maniera buffa, quasi esotica.
Perth infatti dista qualche decina di ore di volo da New York, quindi ci sta che il modo in cui Parker pronuncia “happen” sia così diverso.
Let It Happen è stata la prima traccia con cui i Tame Impala, capitanati da quel Parker che pronuncia strano “happen”, hanno fatto sapere al mondo che s’apprestavano a tornare con un nuovo album, tre anni dopo la consacrazione, con consequenziale sdoganamento al grande pubblico di Lonerism.
E dire che neanche troppo tempo fa, circa un anno e mezzo, Parker aveva dichiarato seccamente di non pensare neanche poi troppo al nuovo Lonerism, nonostante il tanti ne richiedessero uno. Poi, senza nessun colpo di scena, l’annuncio dell’ultimo lavoro: Currents.
Nonostante sia stata la prima traccia che abbiamo ascoltato, Let It Happens non è il primo singolo dell’album, uscito invece circa un mese dopo. ‘Cause I’m a Man è una scelta non casuale, un testo scarno come poi tutto l’album, pieno di domande, all’interno del quale Parker si interroga sulla madre di tutte le tematiche l’umanità. Con tanti richiami, dalla Mela di Magritte, al mondo virtuale di Her, ‘Cause I’m a Man segna un po’ il punto di partenza dell’album, il seme su cui l’albero può crescere, soprattutto in ampiezza.
Una classica domanda che ci si fa, ascoltando un disco è, di solito, se sia bello o meno. Come se bello fosse una dichiarazione più che un modo di aggettivare qualcosa. Secondo questo ragionamento Currents è bello, e non è detto che sia un bel disco (anche se poi lo è).
Sono belli gli inni alla vita di The Moment e Reality in Motion, lo è il modo in cui Kevin pronuncia “happen” – anche se questo dovrei averlo già detto – ed è soprattutto bella la leggerezza con cui Parker ha scelto di approcciarsi a un tema, quello del cambiamento (soprattutto personale) difficile da trattare senza restare invischiati in deprimenti crucci sulla natura umana.
Uno dei più bei giochi che mi piace fare è immaginare un album come colonna sonora alternativa di un film. A volte faccio esercizi contorti, associando generi musicali/cinematografici totalmente sfasati tra loro, un po’ come Il Grande Gatsby di Baz Luhrmann.
Altre volte invece cerco di stare sul classico. Quindi ho provato a sostituire la colonna sonora di Inherent Vice (per altro quasi interamente composta da Jonny Greenwood) con Currents. Sarebbe banalmente perfetto.
Uno dei più brutti giochini che fa chi scrive di musica, me compreso, è trovare dei metri di paragone, associare un artista ad un altro, o ad un gruppo di altri. Credo lo si faccia per semplicità mnemonica, per poter velocemente catalogare, in modo da facilitare poi la ricerca futura negli scompartimenti della nostra memoria.
Mi piace che i Tame Impala abbiano provato a mettere tutti un po’ in difficoltà con questo album, che abbiano provato a sfuggire alle nostre idee, e l’abbiano fatto guarda caso parlando di cambiamento.
The Less I Know The Better – continuate voi la frase, contiene lo stesso concetto.
Come on Superman, say your stupid line.