-di Enrico Veronese
Da giorni non si parla d’altro, e vabbè. Max Pezzali ha dato un parere positivo su tutte, pur così diverse e antipodiche. Ma è tutto oro quello che luccica? (Al netto del doveroso dichiarare -preventivamente- di essere fan di questa o di quella band in causa), secondo me, no. Ecco perché.
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I CANI – “Con un deca”
Ascoltata live, anche con Pezzali, penso sia stata il motore dell’intera operazione. Va detto che due anni fa gli Shout, sempre di casa 42, facevano “Weekend”. Qua la voce di Niccolò pare un po’ diversa rispetto a quella delle registrazioni del “Sorprendente album” d’esordio, comunque per filologia tastieristica e derivazione quasi genealogica nei contenuti -vissuti in Lombardia, osservati a Roma- questa è tra le tracce in assoluto più credibili: le distorsioni strumentali caratterizzano e la sezione ritmica pompa con liquido vigore. Non vedo in quale altro modo sarebbe stato possibile eseguirla. E intanto, da I Cani, è appena uscita una “Asperger” da urlo carpiato… ++
CARPACHO – “Nord sud ovest est”
Brano feticcio se non culto, intelligenti gli inserti dai Blur di qualche mese prima, i Carpacho si confermano fucina di idee pop diverse da quelle degli altri, quasi sempre migliori di quelle degli altri. Un plus per l’inciso dai Grandaddy e per quello dei Death In Vegas, la nuova “base” suonata è una nuova canzone con tutti i crismi, cfr. Avalanches. Summa che nella mia personale considerazione teorica è partita un po’ in sordina per poi riconquistare, man mano che gli ascolti rivelano la pregevole struttura, le posizioni che merita: quelle più alte in seno al consesso. (sesso/con seno) ++++
SELTON – “Come deve andare”
“Faith” di George Michael nel giro di basso iniziale e anche poi, per dei brasiliani importati (non “trapiantati”… né importanti, finora) a Milano che fanno del loro meglio, tropicalizzando un brano minore in quanto a presa sul pubblico, non in quanto a testo, anzi. Molto più che dignitosa, sono portato a considerarla naturale, come l’avessero scritta loro e fosse stata composta ora. +++
COLAPESCE – “Gli anni”
L’inizio promette bene, molto ’80 (e New Order anche), ma poi… metti la voce fin troppo tenue di Lorenzo -del quale amo molto la scrittura in proprio e per Albanopower- che non è propriamente il massimo che si sia mai sentito nella storia della musica, metti le distorsioni fuzz del ritornello, fastidiose anzichenò, pare il buzzer della sveglia mattutina. Ok, a enver non sono mai garbati i My Bloody Valentine, quindi queste parole sono “inficiate” da questo pregiudizio acustico. Tant’è, il brano forse più immanente e “posterous” nella discografia pezzaliana viene reso bene solo nel clip d’accompagnamento, ma è ucciso nel ritornello e nella vocalità. –
AMOR FOU e ANTITEQ – “Come mai (pregando per un synth)
Montagne e topolini? AntiteQ fa un bel lavoro deep dub spaziale, un po’ à la Aucan respira il geist della pubblicità dell‘Aids con l’alone fucsia, ma Raina trascina le sillabe come a scuola di dizione, abbastanza fuori luogo. Da fan di Amor Fou dico che il lavoro di AntiteQ avrebbe meritata miglior sorte vocale, forse il pezzo può crescere nei successivi ascolti ma mi aspettavo di più, anche data la cospicua conoscenza arrangiatoria di Raina. +
CASA DEL MIRTO – “Una canzone d’amore”
Dolente nota, per me che del Mirto sono stato sviluppatore. Ma che senso ha questa cosa? Una francese che parla in italiano e declama un testo brutto su una tipica base di scarto Mirto, manco sviluppata, che solo nel finale evoca (evoca e basta) lo spleen Nuclear Sun / Roland Brant e poi Robert Miles, come l’avrei svolta io. L’ottimo trio trentino deve focalizzare la miriade di strade che gli si para davanti, buttarsi coi Righeira o in questa cosa non li porta da alcuna parte. Pussa via brutta bertuccia… —
NICOLO’ CARNESI – “Rotta per casa di Dio”
Compitino del “nuovo Brunori” (? ne basta mezzo, grazie), vocalmente non dotato per analogia, che sforza su sillabe rispezzate al confronto con le originali. Resa calligrafica elementare, suoni ordinari: classico caso di autore “borderline” del tutto fungibile, ma che invece è dentro la compila per l’endorsement indotto nei suoi confronti. Non sempre quando si punta su un cavallo è quello vincente, specie per chi è abituato ad arrivare dopo (e non parlo solo di Carnesi, che in questo caso è più o meno come una cavia della risposta altrui agli input editoriali, legittimi ma in questo e altri casi, qualitativamente fallaci). Skippabile. –
NUMERO6 – “Hanno ucciso l’uomo ragno”
Spleen, introspezione bitossiana, ma rompere la melodia vincente -senza soluzioni migliori- non è un bell’affare. Perché Michele è un altro che gioca abitualmente con gli accenti e la metrica, qui il troppo stroppia (forsequellidellamala). L’intorno musicale si salva ma ci vuol altro per parlare di epos come fa Pezzali -immaginate i Movie Star Junkies cosa avrebbero fatto- invece l’astrazione rispetto alla portata anthemica del brano è una mezza delusione in confronto ai mezzi enormi in possesso ai genovesi. +
EX-OTAGO – “Sei un mito”
In apparenza la canzone più facile per sbizzarrirsi, alla band che avrebbe saputo farle bene probabilmente quasi tutte. Il risultato di questa prova è positivo, ma sotto la soglia del folgorante: strani suoni peruviani Atahualpa decontestualizzati, Johnny Balera che dimentica completamente la resa melodica e l’arrangiamento originale (la vecchia teoria delle cover come stravolgimento o fedeltà), Pernazza con un tocco di classe rivendica il tifo per la Spal. Il singalong retrostante è in perfetto stile, c’è tanto affetto qua, e DJ Chicco di Radio Scapolo d’Oro ha il suo singolo per l’estate, “dedicato a tutti quelli che non si arrendono”. +
MACROBIOTICS – “La regola di D’Amico”
Di genere, degenere, di vizi di forma caucciù. Quando c’è Jacopo D’Argento ci si prepara a dividersi tra chi ama e chi non sopporta. Qua si sta da sempre tra le prime file, anche se del brano di Pezzali non resta proprio più niente. E lo si ascolta, biascica, oscilla come in qualsiasi traccia del Dargen nazionale: canzone d’autore rapper, Nic Sarno collabora ai suoni e rallenta, “non potrei mai vederti come finanziato”. E preferisco essere amico di D’Amico, anche se nella vita poi non combinerò mai niente mai. ++
GHEMON – “TPS”
Uno dei pezzi meno noti degli 883 peggiori, affidato a un rapper più esterno rispetto al giro che accomuna gli altri convitati, pur nelle differenze sonore. Ne esce un innocuo r’n’b, che assorbe le volgarità presenti nel testo originale con un inno alla Schadenfreude in chiave chick-black. Ne valeva la pena? No. –
AMARI – “Non ci spezziamo”
Dico che gli Amari sono i veri eredi, più intelligenti e musicalmente colti, degli 883. “Gran Master Mogol” e “Scimmie d’amore” avrebbero dovuto, non potuto, essere per gli anni Duemila di massa quello che sono stati “Hanno ucciso l’uomo ragno” e “Nord sud ovest est”. Aggiungo alcune affinità tastieristiche ed elettroniche, un incedere rap-pop non alieno a Pezzali (che ascoltava Public Enemy e Beastie Boys), l’attitudine a parlare a varie forme di gioventù, la lucida provincia edulcorata. La voce di Dariella esalta il pezzo, la costruzione musicale convince, facendo di questa resa una delle migliori in assoluto se non la migliore (escluso il pastiche Carpacho, che è fuori gara per acume). Al punto da immaginarla nuova per la prima volta, un brano degli Amari tra altri brani degli Amari, il cui album a questo punto si fa attendere non poco… +++
EGOKID – “La regina del Celebrità”
Inizio da speciale Tg1 d’un temps, la voce di Pier Pardo non preferenziale a quella di Diego Palazzo (come nell’ottimo, ultimo disco della band milanese), un bagno indietronico-wave in cassa che rende onore alla classe del dEBE e costituisce l’aspetto musicalmente più intrigante di tutta la compila (assieme ad AntiteQ). Quando cresce diventa un brano ipnotico fine’80 da Cocoricò fetish, coi glory hole e tutto, rivelando più della band che coverizza rispetto all’autore originale, e mostrando gli ampi margini d’espansione che possono avere ancora gli Egokid. Bravi. +++
IL TRIANGOLO – “Nella notte”
Seconda razione folkie retrospettiva (dopo quella dei Numero6), con ascendenti country, ma ricorda anche l’incedere wham! di quella dei Selton. Mixata male, mi pare, col basso che prepondera la voce e gli altri strumenti. Se è voluto, è un errore. Armonica a bocca e bella voce, battimani e ogni cosa si riesce a immaginare di contorno: non è male, ma sono meglio le canzoni nel disco del Triangolo… +
MARIA ANTONIETTA – “Weekend”
E dire che i brani del suo disco mi garbano, hanno un senso e mancavano un po’, a chi aveva seguito Carmen Consoli… Ma qua siamo al default: la voce rantolante che allarga le vocali è un grosso no, esattamente come lo avrebbe detto Masciarelli ad Avanzi. Affidare il brano a una femmina anche, nonostante i pareri contrari: è uno dei più tipizzati, non si poteva manco traslare il significato, la psicologia. I suoni posteriori disarmano, per fortuna ripeto che il suo disco -con buona pace dei detrattori- vale molto più di questa schifezza. All’esercito anti-indie che vedo esprimersi nei social e nei forum dico: non considerate un “movimento”, un’offerta, il presente da questo brano, per favore. —
SOVIET SOVIET – “Il grande incubo”
Ma che sorpresa! Una band postpunk delle più ortodosse, sommerge di feedback e musica della nuova onda una canzone che ne era completamente all’oscuro, con una procedura di glassa che Wavves avrebbe adoperato in “So bored”. Il brano all’epoca segnò un tentativo di evoluzione storyteller per Pezzali, ma non ebbe sèguito: i Soviet Soviet possono invece partire da qua per portare il pubblico più grosso a interessarsi della loro produzione. Bel colpo. +++
GIRLESS AND THE ORPHAN – “Senza averti qui”
Ulteriore resa country-folk, numericamente più di quante mi aspettassi. Anche questa registrata in maniera non impeccabile, dilettante nel concept, dà ragione a quanti dalla compila vorrebberso trarre chissà quale morale sociologica. Brutta e sbagliata, peccato perché ritornello e collocazione storica (Sanremo) del pezzo avrebbero meritato un’analisi maggiore, un costrutto più brillante, in definitiva un’altra band a ripercorrerne i passi. Sul product placement, valgono con ogni evidenza le considerazioni fatte riguardo Carnesi. –
LAVA LAVA LOVE – “Bella vera”
Cristina d’Avena ? Ah no. Va detto che il brano di partenza è ben brutto, ma anche sceglierlo per una voce femminile (adolescenziale al modo della Caterina di “Aeroplano”) non è il massimo. Da una band con due ex Canadians dentro -cfr. la bellissima versione di “Moonlight shadow” a firma Girls In Milan- mi aspetto sempre ben altro da quanto poi puntualmente ottengo, anche se nel loro disco i brani validi non mancano (quelli più “canadesi”, ça va sans dire). Debole come un fuscello all’aria, per fans di Paola e Chiara. –
I CAMILLAS – “Aeroplano”
Great expectations, dato il pezzo e la band. Invece vedo stranamente poca ispirazione, per un combo che del coverizzare alla sua maniera le cose altrui ha fatto un punto di distinzione: il brano gira su se stesso ma non come una trottola impazzita, semmai qual criceto abulico, “If” di Rudyard Kipling diventa cifra distintiva e in fin dei conti, come spesso accaduto in questa compila, si fa preferire l’originale della Rappoccio. Ai fratelli Camillas dico: se aveste rifatto tutta da voi questa scaletta, sarebbe uscito qualcosa di sicuramente più forte, da tramandare e replicare in concerto. –
NEWS FOR LULU – “Cumuli”
La giusta rimostranza degli unici pavesi nella partita ha portato a uno dei migliori tributi, completamente “americana” per un testo dolente, coi cori di altri pavesi -magari manco musicisti o cantanti- a significare koiné, comunità, fuoco, Natale e Redenzione, dando nuova forza alle motivazioni del pezzo e rendendolo universale nella località. Non sarebbe mai stato nelle corde dei NFL, ma loro sono veramente bravissimi e in tanti non se li meritano, forse. +++
DIMARTINO – “Nessun rimpianto”
Ecclesiaste da Bandajonica, liturgia polivocale laica, a cappella sul passato e l’amore e l’assenza di una spiegazione. Si voleva far risaltare il testo (non di quelli memorabili), e invece si è tolto nervo, spina, necessità. Passo falso di uno che solitamente, col proprio materiale e le proprie parole, è molto bravo. –