Con un esordio dirompente come quello del 2010, la seconda fatica de Il Pan del Diavolo non poteva che essere sottoposta al costante confronto con ciò che l’ha preceduta. Piombo, polvere e carbone è uscito il 3 aprile pronto a rispondere all’annosa questione: sarà all’altezza di Sono all’osso?
Il fatto è che oltre 2 anni dopo Alosi e Bartolo sono cresciuti e hanno reso il rock’n’roll folk, visionario ed istintivo che tutti conosciamo qualcosa di più complesso ma non meno vibrante.
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Per farlo hanno registrato un disco curatissimo e più affollato del solito, in cui ovviamente continuano a farla da padrona le chitarre. La consueta acustica di Alessandro e la 12 corde di Gianluca vengono però affiancate dalle distorsioni elettriche di Antonio Gramentieri. Il risultato è incredibile, basti pensare al singolo che ha anticipato il disco, Scimmia urlatore, torbito e cupo ma pur sempre viscerale come tutto ciò che riguarda i palermitani.
L’altra grande novità è data dalle ritmiche. Diego Sapignoli e il suo set poliedrico costringono l’amata grancassa a sonagli a cedere il passo, finendo spesso per rimpiazzarla. Il disco risulta così denso di rumori, oltre che perfettamente scadito da piatti e rullanti. Aguzzate l’orecchio e cercate la lamiera e i cembali nel sottobosco di Piombo, polvere e carbone, per esempio.
Concludono il quadro le incursioni della semiacustica a colorare atmosfere marcatamente blues, perpetrate magistralmente anche live da Bartolo, che del talento non sa più come far sfoggio. Emblematica Dolce far niente, accompagnata da un’armonica a bocca.
Tra gli ospiti celebri, Nicola Manzan orchestra gli archi di Fermare il tempo, creando melanconie e amaro in bocca, per la traccia più prettamente autorale delle 11. Ufo degli Zen Circus, invece, presta servizio con il suo basso resofonico nella torrida Libero, le cui atmosfere western contribuiscono, insieme al testo intimito ed evocativo, a renderla uno dei pezzi migliori di tutto il disco.
Se è vero che il risultato finale risulta meno immediato, che il colpo di fulmine dell’esordio è lontano e che l’innamoramento giunge con più calma, è anche vero che poi ci si innamora anche di questo secondo lavoro, così adulto e maturato anche nei testi splendidamente surreali ed evocativi. Semplicemente i picciotti sono cresciuti e hanno deciso di fare le cose in grande, addirittura raddoppiando i componenti della band e portando in giro per l’Italia un disco ricco e policromo, senza mai far mancare la propria personalissima impronta.
La cosa bella è che ci sono riusciti. Il consiglio è di non perdere questo disco e soprattutto di non mancare uno loro concerto.
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