In questo terzo speciale profilo per il mese di Dicembre abbiamo deciso di occuparci di una etichetta discografica dal repertorio molto particolare. Infatti, ben rappresentata dal motto “Vibrant global sounds” la Glitterbeat vede nel suo roster un nutrito gruppo di musicisti provenienti dalle più svariate parti del mondo -dai maliani Tamikrest ai brasiliani Bixiga 70, da Bassekou Kouyaté ai nostri connazionali Sacri Cuori, dai messicani Sonido Gallo Negro a Bombino– tutti dediti ad un sound che sposa la tradizione musicale dei loro paesi con la modernità. Al centro di questa affascinante avventura c`è il suo fondatore, Chris Eckman, già membro degli storici Walkabouts, una delle principali formazioni del underground rock statunitense degli anni 80 e 90. Una storia, quella dell´etichetta, che parte in un certo senso proprio da quegli anni e che vede in qualche maniera coinvolta la leggendaria label Sub Pop. Per sapere come, leggete questa eccezionale intervista che abbiamo avuto l´onore di fargli.
─ English version on page 2 ─
Ci racconti qualcosa riguardo agli inizi della Glitterbeat?
Nel periodo in cui i Walkabouts erano sotto contratto con la Sub Pop il braccio distributivo e promozionale in Europa dell´etichetta aveva sede in Germania centrale e si chiamava Glitterhouse. Una label con un suo vero e proprio catalogo discografico ma che di fatto in quel periodo operava come Sub Pop Europe. Dopo qualche anno la Glitterhouse è rientrata in possesso del nome originario riposizionandosi come etichetta di genere cantautorale americano. Per quel che riguarda i Walkabouts, dopo un certo numero di anni l´attività cominciò a calare e verso la metà degli anni 2000 mi ritrovai piuttosto insoddisfatto riguardo lo stato della musica indie e la classica formula del singer-songwriter, e questo sia come ascoltatore che come artista. Le cose non mi entusiasmavano più, forse a causa di una sovraesposizione a questo business durata anni. Nel 2006 decisi di andare in Mali, conoscevo da qualche anno la musica di quel paese anche se non posso dire di avere avuto una conoscenza approfondita delle sue tradizioni. Tuttavia, c´era qualcosa mi spingeva ad andare lì. Ho viaggiato per circa un mese in Africa Occidentale senza avere una meta precisa, semplicemente come ascoltatore e fan. Naturalmente quest´esperienza mi ha praticamente cambiato la vita, tutto ha preso un’altra direzione dopo quel viaggio.
In Mali ci sono tornato nel 2008 con i Dirtmusic, il mio gruppo attuale di cui fa parte anche l´ex Bad Seeds Hugo Race, per suonare alla manifestazione chiamata Festival in the Desert. Ci ero già stato nel 2006 ma senza nemmeno immaginare di poter tornarci per suonare se non dopo aver formato i Dirtmusic. Avevamo un elemento blues nella nostra musica che sembrava adattarsi bene. Eravamo lì con Peter Weber, il proprietario della Glitterhouse e co-proprietario assieme a me della Glitterbeat, e proprio all´inizio di questo nostro viaggio, dopo un ora dal nostro arrivo nella location del festival, proveniente da una tenda che si trovava vicino alla nostra ci capitò di sentire della musica molto interessante. Erano i Tamikrest che suonanvano. Ci siamo uniti a loro con le nostre chitarre e praticamente abbiamo passato i tre giorni successivi a suonare assieme. Abbiamo suonato con loro sul palco, loro durante il nostro concerto, noi durante il loro. Fin da subito si è instaurato un rapporto di collaborazione. Un anno dopo abbiamo deciso di tornare in Mali per registrare con i Tamikrest e questa collaborazione ha poi visto la luce con il titolo di “BKO” sotto il nome Dirtmusic. Alcuni mesi dopo sono tornato in Mali per registrare il loro primo album. Questo è stato solo l´inizio di queste collaborazioni africane, negli anni seguenti ci sono tornato come produttore lavorando ai dischi di Lobi Traoré, Ben Zabo e ad un altro paio con i Tamikrest. Questi album continuavano nel frattempo ad uscire per Glitterhouse ma nel 2011 decidemmo che forse c´era un modo migliore di proporli al pubblico. Praticamente la label Glitterbeat è partita con i soli Tamikrest ma il loro successo ci dette il coraggio necessario per tentare questa esperimento di ramificazione. Non avevamo idea di dove ci avrebbe portato, pensavamo in piccolo ed in maniera molto concentrata. Ci dicemmo “Creiamo una label con la quale trovare artisti che possano supportare la stessa visione artistica dei Tamikrest.” Così, molto semplicemente. Durante il primo anno abbiamo pubblicato dischi di Samba Trourè, Dirtmusic, Tamikrest ed il disco dal vivo di Lobi Traoré.
Con le successive releases in un certo senso avete continuato ad esplorare sempre più profondamente quel tipo di sound mi sembra.
Sì, questo è vero. Nel 2006, quando sono stato in Mali per la prima volta, non ci sono andato come etnomusicologo. Avevo un legame emotivo con quella musica ma, a parte questo, non conoscevo in nessun modo le tradizioni, i differenti gruppi etnici ed il tipo di musica che suonavano. Ma più a lungo dura questo tipo di esplorazione, più aumenta la conoscenza, più si scoprono nuove opzioni, più musicisti si incontrano e nuovi tipi di musica si scoprono. In Mali ci sono tornato una dozzina di volte e naturalmente la prospettiva è cambiata notevolmente.
Parlando del sound del Mali, mi piacerebbe sapere che ne pensi del lavoro di Damon Albarn con il suo progetto Africa Express?
Damon Albarn è stato uno dei primi ad aprire le porte alla musica del Mali con il suo disco “Mali Music”. Quello che ha fatto è molto importante. Quello che ci rende in un certo senso affini è il modo di vedere questa musica, non considerandola una musica “morta”, ma piuttosto assolutamente contemporanea, pur non arrivando da città come Londra, Roma o Parigi. La musica africana delle aree urbane è del tutto contemporanea. Trovi l´hip-hop, la musica elettonica e dance. Non è musica suonata solo con strumenti tradizionali, non lo è più da almeno quaranta anni. Puoi risalire a Fela Kuti ed anche prima. Non è una cosa nuova, questo tipo di comunicazione tra la musica occidentale e quella africana avviene da molto tempo ed avviene in due sensi. Quello che Africa Express e Glitterbeat rappresentano non è una ricerca dell´esotico, di ciò che è distante. Sento questa musica come molto vicina e penso che questo tipo di collaborazioni abbiano un senso. Con i Dirtmusic abbiamo registrato tre dischi in Mali, gli ultimi due completamente in collaborazione con musicisti locali. Siamo arrivati lì senza aver scritto delle canzoni in precedenza, lavorando faccia a faccia con loro, cercando di sviluppare un suono collettivo.
Alle mie orecchie la musica di gruppi come Tamikrest suona come rock, suonato da un altra prospettiva, espressione di un altra cultura ma facente parte dello stesso tipo di tradizione.
Quello che dici non è sbagliato anche se io cerco di fare dei distinguo. È facile apporre la nostra cornice musicale a quello che questi artist fanno per cercare di capirli, ed io sono il primo a farlo, lo facciamo tutti. Nel caso dei Tamikrest è del tutto appropriato quello che hai detto, perche loro ascoltano effettivamente rock. La musica dei Tuareg, a cominciare dai Tinariwen, ha le sue basi nel rock e questo non per caso ma perché loro ascoltavano effettivamente Santana ed i Rolling Stones. Quello che ascoltano i Tamikrest è principalmente musica rock, al contrario ascoltano pochissima musica africana. Era così quando li ho incontrati per la prima volta e le cose non sono cambiate negli ultimi sette anni. Dove però questo modo di pensare non è appropriato è ad esempio nel caso di artisti come Bassekou Kouyate, che ho anche prodotto. Lui è un musicista del Mali molto famoso, virtuoso dello strumento tradizionale chiamato Ngoni che ha anche lavorato con Damon Albarn fin dagli inizi. Molto spesso la stampa lo definisce “l´Hendrix dell´Ngoni”, per me la cosa è del tutto irrilevante dal momento che in effetti lui non è influenzato da Hendrix, praticamente non lo ha mai nemmeno ascoltato. La tradizione rock non ha un gran significato per lui per cui usare questo tipo di paragoni per cercare di capirlo è semplicemente segno di pigrizia, di superficialità.
Credo che questo tipo di semplificazione sia tipica dei media. La stessa cosa succede con l´etichetta “world music”, che per anni ho cercato di non usare ma che per mancanza di un termine migliore mi sono a volte dovuto adeguare a fare.
È un grande dilemma. Noi non usiamo mai il termine “world music” nella nostra letteratura, non lo abbiamo mai fatto fin dall´inizio anche se, giornalmente nel lavoro che sta dietro alla label, lo devo fare. Lo devo fare in un contesto legato agli affari. Ma è un modo sbagliato di guardare a questa musica, dal nostro punto di vista, perché la vede come una cosa “altra”. La musica dei centri urbani, ovunque nel mondo, fà parte di una conversazione che avviene a livello globale. Con le nuove tecnologie abbiamo fatto un grande salto in avanti, per questo dobbiamo fare qualcosa di meglio per mettere questo tipo di musica in un contesto che sia più accurato nel descriverla. Non è musica “degli altri”, loro ci guardano tanto quanto noi guardiamo loro, gli occhi sono puntati in entrambe le direzioni, costantemente. Ha sempre meno senso cercare di trovare un etichetta per descriverla ma avremo sempre difficoltà a farlo. È una cosa con la quale mi confronto quotidianamente. Non sò se per tutto il tempo in cui la Glitterbeat sarà in attività, riusciremo a trovare un senso a questo tipo di conversazione tra culture, ma di certo quello che noi facciamo – e che Africa Express ed altre grandi labels di questo genere fanno- è cercare giorno dopo giorno di operare ad un cambiamento.
Non pubblicate esclusivamente musica di artisti africani ma anche di altre parti del mondo. Ci racconti quando e come avete iniziato a guardare in giro per il globo alla ricerca di artisti da includere nel vostro roster?
Il motto originale della label era “Vibrant music from Africa and beyond”. Quello che avevamo a quel punto non era nemmeno pan-africano ma praticamente solo relativo alla scena musicale del Mali. Ad ogni modo, quello che avevamo visto succedere in Africa con la musica dei Tuareg, stava succedendo anche in altre parti del mondo con altri tipi di musica. Lo vedevamo da una prospettiva globale e da subito avevamo aperto le orecchie alla ricerca di bands che ci entusiasmassero. La prima cosa che ci chiediamo è se la musica ci convince, se è qualcosa che ci piacerebbe mettere sui nostri impianti stereo personali. L´approccio è quello dal punto di vista dell`appasionato di musica. Questa ricerca è molto più facile da fare ora, la label è diventata più grande e gli interessati vengono a cercarci con idee e proposte, ed arrivano da tutte le parti del mondo.
Questo ci porta ad una delle vostre ultime uscite, ovvero “Delone” dei Sacri Cuori. Come vi siete incontrati e come siete arrivati a pubblicare il loro disco?
Conosco Antonio Gramentieri già da molti anni. Ho suonato al suo festival Strade Blu anni fà e mi erano piaciuti i primi due album dei Sacri Cuori. Avevano un feeling più americano rispetto all´ultimo. Antonio mi ha contattato dicendomi che stava lavorando a questo albun e che secondo lui sarebbe stato compatibile con la Glitterbeat. Mi ha sorpreso e fatto pensare “Wow, sembra interessante”, ha continuato a spiegarmi cosa aveva in mente ed a spedirmi tracce da ascoltare fino a che è riuscito a convincermi. È un disco che si adatta bene a quello che stiamo cercando di dire con la Glitterbeat. Antonio ha un background nella tradizione, fa riferimento alle più tipiche melodie italiane mentre invece il pop moderno in Europa prende ispirazione da quelle americane o inglesi. Lo ha fatto in maniera molto intelligente, il risultato è un disco molto profondo che va al di là di un certo fascino di facciata. Contiene delle canzoni pop molto orecchiabili ma preso nel suo insieme è un viaggio in una specie di universo musicale e storico alternativo. È un disco affascinante e siamo molto orgogliosi di averlo pubblicato, è sicuramente uno dei miei preferiti tra quelli pubblicati della nostra etichetta.
Secondo me non suona per nulla fuori posto rispetto al roster della vostra label, anzi aggiunge sicuramente qualcosa al grande puzzle che è la musica che proponete.
Se prendi in considerazione bands come Tamikrest, Noura Mint Seymali o Aziza Brahim ed il rapporto che hanno con la musica della loro tradizione, questo è lo stesso tipo di rapporto che i Sacri Cuori hanno con la musica italiana. Sono persone moderne che ascoltano moltissima musica diversa e che incorporano nel loro sound quello che della propria tradizione trovano più utile ed interessante, quello che credono di poter portare nel futuro.
Ultima domanda, cosa bolle in pentola per Glitterbeat nel 2016?
Avremo moltissimo da fare. Tamikrest Noura Mint Seymali usciranno con i rispettivi dischi tra l´autunno e l´inverno del prossimo anno. In Febbraio sarà invece la volta del secondo album sulla nostra etichetta per Aziza Brahim. Molti dei nostri artisti arriveranno alla seconda release e questa è una cosa molto eccitante. In Marzo pubblicheremo anche il secondo volume della serie “Hidden Music”, che abbiamo inaugurato con il disco “Hanoi Masters”. Questa volta si tratterà di una entusiasmante raccolta di field recordings dal Mali, la migliore che mi sia mai capitata di ascoltare. Dal punto di vista culturale è una cosa molto importante perché molta di questa musica sta rapidamente sparendo. Bamako è una delle aree urbane in più rapida crescita al momento, molte persone vi si stanno rifugiando a causa della siccità e delle pressioni politiche nel nord del paese. La tradizione musicale dei villaggi è a rischio di estinzione, questo potrebbe l´ultima testimonianza a riguardo. Il quattro o cinque anni il quadro potrebbe essere completamente diverso. In Maggio rilasceremo anche un album realizzato da una band chiamata M.A.K.U. Soundsystem, originari della Colombia ma residenti a New York. Molto elettrici, ballabili e politicizzati. In Giugno inoltre pubblicheremo un album Afro Haitian Experimental Orchestra, un progetto capitanato da Tony Allen, una sua collaborazione con alcuni musicisti haitiani, qualcosa difficile da descrivere, un sound piuttosto sperimentale.