[column size=”2/3″ center=”yes”]Ogni discorso sul 2015 di Kendrick Lamar deve partire necessariamente da questo assunto: To Pimp A Butterfly, il suo terzo disco ufficiale, è l’album hip hop più importante dell’anno, e credo non ci siano dubbi, per nessuno. Dopo il grande successo del precedente good Kid, m.A.A.d. City, del 2012, il rapper di Compton, da molti considerato l’erede di Tupac, poteva cercare semplicemente di ricalcarne la formula, con qualche piccola variazione, per tentare la via più facile. Invece Kendrick si è lanciato in un’impresa affatto ambiziosa, dando alle stampe un lavoro complesso e multiforme che ha catalizzato su di sé l’attenzione di tutti gli appassionati di musica, a prescindere dai generi e dalle catalogazioni.
Il suo 2015 era partito subito fortissimo con la vittoria in febbraio di due Grammy Awards, i cosiddetti Oscar della musica, nelle categorie “Best Rap Song” e “Best Rap Performance”, per il singolo i. L’uscita di To Pimp A Butterfly segna però una sorta di stravolgimento, dato che l’album sorprende tutti da un punto di vista musicale e compositivo.[/column]
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Lamar ha infatti chiamato a raccolta un team di produttori e musicisti di primissimo livello – Terrace Martin, Flying Lotus, Kamasi Washington, Robert Glasper, Thundercat, Knxwledge e tanti altri – per farsi confezionare addosso un suono ricchissimo, diverso da quello delle sue precedenti uscite, nel tentativo di racchiudere in sé tutte le anime di ciò che di caratteristico è stato prodotto a Los Angeles negli ultimi decenni. Dentro c’è il soul, il funk; c’è il P-funk, il G-funk, e il fonk alla Declaime; c’è l’elettronica in stile Brainfeeder, c’è il rap underground di matrice Stones Throw, ma soprattutto c’è tantissimo jazz. Anzi, sembra proprio che Kendrick abbia voluto mettere il jazz in primo piano, in un’ottica di omaggio e rispetto.
Dal canto suo Kendrick Lamar era già fortissimo nel 2011, quando Dr. Dre, The Game e Snoop Dogg, durante un loro live a L.A., lo chiamarono sullo stage e gli passarono il microfono in una sorta di investitura, con il rapper all’epoca appena 24enne visibilmente commosso (il video è facilmente reperibile in rete). Oggi Kendrick Lamar si porta dietro questa tradizione di rap West Coast, virata però in una dimensione molto più conscious, e c’è davvero la possibilità che Kendrick possa diventare negli anni la voce di una generazione. Il suo rap, nel tempo, si è sempre fatto più denso e ricco di sfaccettature, e le sue liriche riescono a raccontare in maniera vivida la condizione esistenziale di chi si ritrova a vivere le mille contraddizioni degli Stati Uniti d’America. Soprattutto se gli è capitata in dono la sorte di essere nato persona di colore senza troppe prospettive di successo economico.
Non quindi deve stupire quello che è accaduto a fine luglio a Cleveland, durante una protesta organizzata dal Black Live Matter, organizzazione che si batte per i diritti dei cittadini afroamericani contro la brutalità della polizia e le discriminazioni razziali. In un momento di tensione, dopo uno scontro con le forze dell’ordine, dalla folla si è levato spontaneo un coro che intonava il ritornello di Alright – we gon’ be alright! – con le riprese dell’avvenimento, filmate dagli smartphone, che in poche ore hanno fatto il giro del Mondo.[/column]
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Alright, da cui è stato tratto anche un bellissimo e visionario videoclip, è un vero e proprio canto di speranza, uno dei brani migliori – e più solari – di To Pimp A Butterfly, con un beat pazzesco di Pharrell Williams, e soprattutto una grandiosa performance lirico-vocale di Kendrick, in particolare nella seconda strofa.
Sono però due notizie fresche fresche, di una settimana o poco più, a confermare definitivamente la rilevanza del fenomeno-Kendrick Lamar nel 2015. La prima: Barack Obama ha dichiarato che la sua canzone preferita dell’anno è How Much A Dollar Coast, tratta da To Pimp A Butterfly. La seconda: il rapper di Compton ha ricevuto ben 11 nomination ai Grammy Awards del 2016, record assoluto per un artista hip hop (e solo Micheal Jackson ne aveva ricevuta una in più).
Ora, ci sono tantissimi musicisti che hanno fatto la storia senza nemmeno mai avvicinarsi ad un Grammy, come a dire: il premio vale quel che vale; e ancora, il Presidente degli Stati Uniti è una persona come tutte le altre, con i suoi gusti, e queste playlist servono più che altro a fare colore. Però queste due notizie, intrecciate tra loro, e d’impatto, riescono a rendere conto della potenza di un rapper che è riuscito a comunicare in maniera grandiosa a tutti i livelli: dall’underground al mainstream, dalle strade alle università, dal ghetto alla Casa Bianca.
E ci sarebbe altro da aggiungere. Magari la prima posizione su Billboard con il remix di Bad Blood di Taylor Swift, oppure il contributo decisivo nella scrittura di Compton: A Soundtrack, l’ultimo inaspettato album di Dr. Dre. Ma in fondo non ha neanche troppo senso. Kendrick Lamar bisogna soprattutto ascoltarlo. E come lo abbiamo fatto nel 2015 continueremo a farlo nel 2016, questo è poco ma sicuro.
─ Filippo Papetti[/column]
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