Ho una teoria su Grimes: quando era piccina era un tipino super-weird e veniva considerata una sfigata, per questo i bimbi bianchi non la cagavano e lei stava sempre con gli asiatici. Facci caso: parla inglese come loro, veloce e un po’ isterica, mi ricorda un sacco la mia amica Nao.
Quando ho ricevuto questo messaggio qualche giorno fa, mi sono subito resa conto che sarebbe stato l’intro perfetta per il pezzo che inquadrava Grimes tra i personaggi musicali dell’anno e il suo Art Angels come uno dei dischi più interessanti del panorama pop filone mainstream.
Innanzitutto: di cosa parliamo quando parliamo di Grimes? Parliamo di una creatura, brand, personaggio e progetto multimediale della canadese Claire Boucher. Mi piace pensare a Grimes come una specie di social network della Boucher, un enorme contenitore, una specie di Tumblr (o meglio, MySpace) con gif sparaflashanti e gradienti cromatici micidiali. Qui la buona Boucher, wicca moderna, riversa suggestioni e perversioni musicali da vera poppabestia, versione riveduta e corretta dei punkabbestia. Ma soprattutto passioni variegate per la cultura giappo-nerd: non è un caso che Grimes, cosplay d’onore, sia stata invitata al Comic-Con di San Diego del 2014. Una celebrazione in pompa magna di un personaggio in bilico tra visual-kei e j-pop.
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Giappo-nerd, dicevamo. Prendiamo gli artwork dei suoi dischi, ad esempio: Visions non sfigurerebbe come copertina delle Baby Metal, gruppo j-pop con sonorità heavy metal (sì, in Giappone accade davvero di tutto); Art Angels altro non è che un numero di un manga che, esattamente come un fumetto giapponese, si legge da destra a sinistra, con la canzone finale Butterfly come manifesto del disco e suo personale intento artistico: non sarò mai la vostra ragazza dei sogni. Ovvero: non sarò mai quella popstar con un produttore artistico che mi confeziona a pennello canzoni sulle quali mi limiterò a cantare. No, io adesso mi sento una fata, una farfalla splendida capace di volare con grazia e armonia: sarò io ad avere il controllo totale in fase creativa, di produzione, di scelta dei suoni e dello stile vocale. D’altronde, durante l’intervista al New Yorker, la Boucher spara altissimo:
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It’s kind of like I’m Phil Spector, and I’m forcing a young girl to make pop music and perform exhaustively. Except, instead of it being someone else, that girl is also me.
Pertanto, un po’ come quel geniaccio di Phil, Claire Boucher fa il bello e il cattivo tempo. Dopo aver firmato con la Roc-Nation, management label di Jay-Z (con la 4AD rimane in quanto artista prettamente musicale), pubblica nel giugno del 2014 il singolo Go, originariamente scritto per Rihanna (ma rifiutato dalla popstar), sostiene di aver pronto del materiale nuovo, viene criticata dai fan per aver partorito un singolo troppo “da radio” e infine a settembre dichiara di aver buttato via tutto ciò su cui aveva lavorato per ripartire da capo. Una pazza o un genio? Una mossa astutissima di marketing per creare hype? Le voci si susseguono, l’attesa si fa sentire, l’album scartato entra nella leggenda quasi quanto quella chimera di set ibizenco della Boiler Room. La posta in gioco è alta, la Boucher è una perfezionista e questo album, a differenza del precedente Visions realizzato con Garage Band, è un’opera ambiziosa: non solo Claire ha imparato a comportarsi come un vero tecnico del suono, ma ha anche imparato a suonare vari strumenti tra cui il violino.
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Marzo 2015 è la volta di REALiTi, demo del 2013 tratto da quell’ormai mitologico e tanto discusso “lost album”. Claire dice di aver perso il file di Ableton, che il brano è registrato in modo molto grezzo, addirittura che non voleva farlo sentire a nessuno. Il video porta la firma dalla Boucher stessa, che da sempre supervisiona e realizza ogni aspetto della produzione. Puntualissima la disamina dell’Atlantic:
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Note the irony punctuation around “the lost album”; Boucher knows some mythology has been built up around the abandoned project. A savvy creator who has made her mark in art and fashion as well as music, she obviously knows better than anyone else what she should release and shouldn’t.
Mi si nota di più se vengo o non vengo?, sembra giocare Claire, con quel visetto un po’ infantile e furbetto. L’impressione generale, però, è che non ci sia nulla da scherzare: REALiTi è una bomba di canzone (per chi scrive mille volte meglio della versione poi effettivamente finita nel disco) e i fan iniziano a battere idealmente le mani sul tavolo per averne di più. Questo di più arriva il 6 Novembre, si chiama Art Angels e fa stortare da subito il naso a chi si aspettava un disco dream-synth alla Visions. Immaginate Madonna del periodo Don’t Tell Me, gli Aqua, Bjork, Enya e Pink, il tutto centrifugato in modo chiassoso e straordinariamente perfetto.
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Stilisticamente opinabile quanto si vuole, il disco è la dimostrazione vivente di come la Boucher sia una spugna eccezionale nell’assorbimento di quelle strutture pop che hanno fatto scuola: riff perfetti, ritornelli killer, linee vocali “catchy as fuck”, come puntualizza Stereogum. Prendete California, Pin, Easily e Venus Fly: melodie “hit and run” che colpiscono e affondano in men che non si dica. Art Angels è quindi sì un sussidiario degli ultimi 18 anni radiofonici ma soprattutto una dichiarazione di indipendenza fortissima. Indipendenza in quanto donna che fa musica cercando di svincolarsi dal fardello, pesantissimo, di stereotipi che questa scelta e che l’etichetta “female producer” comporta. Qui uno stralcio dall’intervista a Fader:
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“The thing that I hate about the music industry is all of a sudden it’s like, ‘Grimes is a female musician’ and ‘Grimes has a girly voice.’ It’s like, yeah, but I’m a producer and I spend all day looking at fucking graphs and EQs and doing really technical work.”
In conclusione, riprendendo la domanda iniziale: di cosa parliamo quando parliamo di Grimes? Di una produttrice che è feticista e profonda conoscitrice della musica e della cultura pop, che sa cosa vuole e sa benissimo come ottenerlo. Tutto ciò che esula dal discorso musicale (ovvero compositivo, produttivo e stilistico) altro non è che un flatus voci. Un po’ come quando, riprendendo il titolo del disco di Grimes, si disquisisce amabilmente del sesso degli angeli.
Vai Claire, il mondo del pop è tuo.