Hy Brazil è il primo Lp di Weird Black, progetto italiano uscito per la sempre ottima We Were Never Being Boring. Abbiamo chiesto ai ragazzi di farci curiosare nella loro collezione di dischi. Prima, però, lo streaming di “Hi Brazil”.
Glad Music – R. Stevie Moore
Re del menefreghismo come gli anziani che superano le file al supermercato. Ormai panzuto oltre ogni limite con lunga barba canuta, non conosce del tutto i testi delle proprie canzoni. Con Glad Music ha posto le basi di quell’immaginario di musica sgangherata ma bellissima che ha molto aiutato (noi) a trovare quella vena di scorrettezza preterintenzionale, sia nella composizione che nel guardaroba. Non a caso ha collaborato spesso con Ariel Pink (SteviePink) suo degnissimo erede, altro artista che della totale mancanza di schemi ha fatto una missione di vita. Dunque Stevie ci ha conquistato con il suo accappatoio e la mini chitarra come lo vediamo nel video di “I like to stay home”; con quel suono che cavalca tra gli 80’ e il 90’, disarcionato, reso sgradevole e perciò meraviglioso alle nostre orecchie.
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Congratulations – Mgmt
Sole, sorrisi, psichedelia, Freschezza. Le prime parole che ci vengono in mente ascoltando questo album dai mille colori e dalle molteplici sfumature. In particolar modo colpisce l’intenzione con la quale questo duo del Connecticut abbia saputo tener testa ad un esordio col botto. Fare i conti con se stessi non è mai facile, ripetersi ancora meno. Ascoltandolo non è possibile non pensare ai sixties ri-assemblati con suoni di cartapesta e girandole colorate. Abbandonato quell’elettro-pop che evidentemente gli stava stretto, quel mondo fatto di regole cromatiche e ritornelli. Spazio allo strumentale quindi, vedi ‘Siberian Breaks’, e spazio anche all’auto-celebrazione ‘Congratulations ‘, stavolta se lo meritano davvero.
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Pom Pom – Ariel Pink
Ariel pink e il disagio. Disagio che mette a nudo l’inadeguatezza di chi ascolta: “ Sono io ? oppure è lui ? ”, “ E’ matto ? forse sono io a non capire ? ” queste sono le domande che ci ponevamo ascoltandolo su Haunted Graffiti. Allo stesso tempo iniziavamo ad essere affascinati da chi come lui si muove in bilico tra il successo e il disastro, tra la vita e la morte, tra il new wave, il prog e la dance anni 80. Ma non cade mai. Questo album, il migliore del 2014 e degli ultimi 5 anni a mio avviso, rappresenta la consacrazione di un artista a 360° gradi. Nulla sembra essere lasciato al caso nella produzione che risulta sicuramente molto più eterogenea rispetto ai vecchi lavori. ‘Pom Pom’ è il disegno di un visionario, fatto di girotondi e ambiguità, condito con il giusto infantilismo di un bambino – anche un po’ stronzo o forse solamente lasciato troppo solo – che non vuole mai crescere.
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Held In Splendor – Quilt
I Quilt sono stati una delle poche band a colpirmi negli ultimi anni. Ne sono rimasto affascinato all’istante! La Calma e la semplicità a generare il sound e quel loro personalissimo immaginario al quale ho attinto più volte: parlo dell’atteggiamento e delle tematiche affrontate o della modalità con cui si guardano le cose da un altra angolazione, liberandoci da ogni sovrastruttura, dicendo le cose nella maniera in cui agli altri possano piacere ma che piacciano a noi in primis e ci rendano orgogliosi o semplicemente felici di ascoltare la nostra stessa musica. “Everything will regenerate as love. Not the kind you think you know, not the kind you learnt. The arctic shark is living free in the coldest part of the eastern sea.” L’arte di costruire immagini che sono gli stessi fruitori a scolpire nella propria mente. Senza la mediazione di chi scrive. Senza la miope tendenza ad imporre il proprio punto di vista. L’artista suggerisce, non svela mai. I Quilt sibilano, accennano, non dicono. Io li ascolto e mi domando che aspetto possa avere l’amore che non conosco. O quanto sia fredda l’acqua nei mari dove si destreggia lo squalo artico (ma esiste?).
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Joy Of A Toy – Kevin Ayers
Kevin Ayers è stato visionario. “Ahead of his time ” per dirla all’inglese. La voce profonda. Togliete i suoni a volte molto “rock prog” di zappa e rimpiazzateli con una banda di paese durante la festa del santo patrono con i bambini che giocano. Una profonda leggerezza. Quella è l’immagine che ci ha trasmesso Ayers con “Joy of a toy”, Potremmo dire che è l’inizio del gomitolo che unisce nel tempo Ayers con Johnston, Moore e Ariel Pink. Scoprirlo è stato dunque una Joy per noi.
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Is And Always Was – Daniel Johnston
“Negli anni ’90 Incassa il sostegno pubblico di Kurt Cobain (che Daniel dichiara di non conoscere minimamente) ”. Daniel Johnston. Se ne potrebbe scrivere un libro. Di quelli lunghi seicento pagine. Ma come si può fare? Lui ha preso se stesso, il suo disagio, la sua solitudine e ha messo tutto nelle sue cassette registrate in garage. Non penso avesse la minima intenzione di diventare un artista internazionale con apprezzamenti (postumi sia chiaro) da tutto il mondo musicale. Negli ambienti culturali o pseudo tali spesso ci troviamo di fronte a persone che giocano a fare gli outsiders pur essendo sane mentalmente. Per questo artista è tutto ribaltato. Non c’è la fa: nonostante si sforzi di sembrare normale non riesce a condurre una vita sana come tutti. Non ce la fa nemmeno ad avere una vita probabilmente. Per lui suonare e registrare diventa una cura, un esercizio psicologico, uno sfogo. Nei primi live era timido ed impacciato e lo è tuttora. Un po’ come se degli sconosciuti entrano in camera tua e giudicano l’accumulo delle tue mutande sporche sulla sedia (un’arte anche quella). Ha la purezza di un bambino al parco, l’ingenuità di un primo amore (‘I was thinking about your love, you was only hiding like the lord above’). L’atteggiamento di chi lascia trapelare l’immensità di ciò che ha dentro facendola uscire da un megafono che suona male o da un pennello che trema. In arte per quel poco che ne sappiamo, è paragonabile solamente a Van Gogh.Tocca delle vette che in pochi riescono a raggiungere. È l’equivalente di un’etiope trapiantato su una montagna Svizzera. Ha negli occhi una verità, una grande verità che ha visto prima degli altri – solo perché ha sofferto terribilmente per arrivarci – e riesce a trasmettercela con parole semplici e destabilizzanti. Sembra che le sue frasi siano formate dalle uniche parole possibili per poterle pronunciare. Irriproducibile. Inafferrabile nei suoi alti e bassi. Daniel ci guarda dal tavolo di un McDonald, ci annuisce. E passa. Come una persona qualunque. Ma ci lascia un mondo. Addentiamo il panino. Pensiamo al nostro mondo. Is And Always Was è il primo disco di Daniel Johnston che ho ascoltato
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Plastic Ono Band – John Lennon
Ho deciso di non parlare strettamente dei Beatles perché i Beatles sono meravigliosi per definizione. Plastic Ono Band però anche è meraviglioso. E’ difficile dire cosa è bello: la voce graffiata che poi nel pezzo seguente è dolce come una mela caramellata? Forse. La libertà con cui ha scritto quest’album o la libertà espressiva di un establishment musicale ancora in divenire ? anche. Le linee di basso e la batteria (di Ringo Starr ovviamente) che sembra un treno a vapore ? Come può un disco composto quasi unicamente di 3 strumenti essere così rotondo ? La semplicità dell’approccio, se proviene da un artista tanto famoso è devastante. Ci vuole coraggio o presunzione ma ciò che ne risulta rende vera la frase che il fine giustifica i mezzi (musicali in questo caso). John Lennon Diventa il “Duca Del Valentinois” e ridicolizza Paul McCartney. “I Don’t Believe in Beatles” ammette o semplicemente fa finta. Mi ha dato quasi fastidio sentire proprio lui pronunciare questa oscenità. “ma come proprio lui ? Deve tutto ciò che ha al quartetto.” I Conservatori, paurosi meschini ancorati a poche fragili certezze si scagliano contro. Succede ancora oggi quando ascoltiamo frasi del tipo “ricordati da dove vieni” ,“devi tutto a….” o ancora “se sei arrivato fin qui è anche perché…” e via dicendo. Eccola la lezione di Lennon: Scordati chi sei e da dove vieni per un istante. Contano davvero poche cose nella vita: 5 o 6 in tutto. L’artista guarda sempre avanti con insoddisfazione e rammarico per le proprie passate produzioni. Per offrire qualcosa di nuovo a chi ascolta. Cerco di guardare avanti anche io. questa è l’eredità che ho ricevuto da John Lennon e Plastic Ono Band.
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Blonde on Blonde – Bob Dylan
In ‘Blonde On Blonde’ Dylan si supera. Si supera nei testi: colti, intellettuali e pieni di simbologie; nelle canzoni, che diventano il manifesto di una intera generazione e di quelle che verranno per osmosi. Si supera inoltre rispetto al Dylan Cantante Folk (il processo era iniziato già da prima ma questo album è la prova del nove a mio avviso) osannato per le canzoni voce e chitarra alla Woody Guthrie, poi insultato per quelle elettriche anche se dicevano le stesse meravigliose cose di prima. Le parole nelle canzoni di Dylan hanno priorità assoluta. Se hai delle cose in te da condividere a nessuno interessa se stoni. Da lui ho imparato che la stonatura fa parte della composizione e che l’errore arricchisce, se ponderato, la produzione artistica perché è da sempre parte di noi umani e ci rende più credibili verso chi ci ascolta. Apre l’album mandando a cagare tutti, poi archivia a non volersela prendere ed inizia. “So I forced my hands in my pockets and felt with my thumbs, and gallantly handed her my very last piece of gum.” canta in 4th Time Around. La metrica di voce, le parole, questo modo di scrivere che ritrovo nei Velvet Underground e ancora oggi negli Strokes tipicamente newyorkese l’ha inventato Dylan. Se provassimo ad immaginare le frasi di Blonde On Blonde cantate da Lou Reed o da Julian Casablancas funzionerebbero alla perfezione. Ancora: influenza John Lennon che prima di lui scrive Norwegian Wood. Gli si fa gentilmente notare che 4th Time Around è molto simile alla canzone contenuta in Rubber Soul e lui risponde “Non sono io ad aver fatto una canzone come i Beatles ma loro ad aver scritto una canzone come Bob Dylan”. Il bello è che quanto detto corrisponde al vero. Evasivo ma sincero, stonato eppure maledettamente bravo. Il primo ad aver messo I testi nelle canzoni. Quelli che parlano davvero di qualcosa. Prima c’era solamente “you can drive my car…I wanna hold your hand…Baby”.