Era il 2011 e, nel pieno del mio immobilismo post – adolescenziale, tra noia, turbe relazionali ed esami non dati, ero in fissa con Burial, forse il vero zeitgeist della mia generazione, o per chi, come me, ha vissuto negli anni quel passaggio dalla “scena” post-rock a quella elettronica.
Insomma, tutta quell’ossessività sull’indie, tramutata poi in ostentazione di camicie a quadri, Cheap Monday, Wes Anderson e Lomo mi aveva annoiato e allontanato da qualsiasi suono provenisse da una corda di chitarra o da un colpo di rullante.
All’improvviso poi, ascoltai, non ricordo come, i Diiv.
I Diiv sono il progetto di Zachary Cole Smith, ex chitarrista dei Beach Fossils, un album all’attivo osannato dalla critica su Captured Tracks, partecipazioni ai più importanti festival del mondo e tutte le carte in regola per entrare nell’olimpo del music business, quello vero.
Il nome originario del progetto di Smith, poi cambiato per questioni di omonimia, era Dive, in tributo al brano dei Nirvana, ed è sempre stata evidente la correlazione Smith-Cobain.
Gennaio 2013, Smith viene trovato in overdose da eroina in una casa isolata a due ore a nord di New York City.
In poche settimane, il suo rapporto con la cantante e modella Sky Ferreira diviene di pubblico dominio ed entrambi vengono arrestati alla guida di un furgone, carichi di eroina e di qualunque tipologia sostanza di carattere simil-solida che possa farti dimenticare anche il tuo nome a fine serata.
Da lì, il pressing mediatico, le sessioni di registrazione infinite con Bobby Gillespie dei Primal Scream, un servizio fotografico per YSL a cura di Hedi Slimane, poi l’abbandono del batterista Colby Hewitt per problemi di tossicodipendenza e tutta una serie di prese a male che sfociarono in un grosso punto interrogativo sul sequel di Oshins e sul futuro del progetto, fino ad aprile 2015, giorno in cui Smith, tramite twitter, annunciò il secondo lavoro della band, “Is the is Are” via Captured Tracks.
Out of Mind è la traccia che apre l’album, e che forse riassume il lungo e travagliato periodo di gestazione del lavoro della band. I Diiv sono oramai “fuori” da 3 anni, tempo più che sufficiente per essere dimenticati e sostituiti da random shit della classica band indie del cazzo.
Cole non ci sta.
Con “Is the is Are” i Diiv prendono tutto ciò che di bene avevano fatto con “Oshins”, approfondendo, allargando ed estremizzando la loro estetica e il loro concetto di Shoegaze contemporaneo, con il buio in sottofondo, a differenza del loro più “estivo” lavoro precedente.
Sì, perché “Is the is Are è un album scuro, che alterna rabbia a malinconia, cosa non biasimabile visto il turbolento making of.
Se le prime due tracce lasciano vaticinare una spensieratezza Oshins oriented, l’atmosfera cambia a partire da Bent (Roi’s song) e Dopamine, tracce che anticipano l’uscita dell’album ed in cui Smith e soci abbandonano riverberi dreamy per far spazio a riff decisi e aggressivi come calci nei denti. Da lì un’immersione di 63 minuti in scenari shoegaze, dove spicca una delle vere skills del progetto di Smith: produzioni con struttura pop e suoni post rock.
Spiccano tracce come Blue Boredom, con la presenza vocale di Sky Ferreira in chiave Kim Gordon, Take your time, vera chicca dell’album, e tutta l’inquietudine di Healthy Moon.
Con “Is the is Are” Cole sbatte in faccia al mondo tutto il suo disagio, l’egocentrismo, l’autoreferenzialità di un personaggio osannato e stroncato, inquieto e contraddittorio. La scena “indie” è popolata da eterni nostalgici, spesso wannabe di tempi mai vissuti.
Sta di fatto che, molto frequentemente, ad ogni movimento “musicale”, vengano abbinati determinati immaginari collettivi non contemporanei.
I Diiv sono invece legati imprescindibilmente alla contemporaneità.
Perché? Perché sono i DIIV e qualora non fosse esaustiva come risposta, l’ascolto di “Is the is are”, in uscita il 5 febbraio su Captured Tracks, vi aiuterà nella comprensione.