Vai a ovest, ragazzo. Vai a ovest e portaci i tuoi sogni e le tue speranze. Questo scrivevano i giornali americani durante la seconda metà dell’Ottocento, proprio nell’epoca del massimo espansionismo verso gli stati del Midwest e della costa dell’Oceano Pacifico, ricchi di terre vergini, e quindi di promesse.
Terre fertili dove mettere radici e iniziare una storia, la propria, per poi ripartire verso altre mete. Che è un po’ la stessa cosa che fa la musica folk, talmente radicata nella storia di una popolazione, soprattutto quella americana, da esserne il riflesso riverberato e potenzialmente infinito. La musica folk ha un pregio che appare unico agli occhi degli altri generi musicali: riesce a essere eterna. E’ un archivio di storie raccontate a voce, senza il particolare bisogno di uno strumento musicale. Può capitare che il fedele compagno sia una chitarra, il più delle volte impolverata e scordata: da lei impariamo a modulare il canto, a renderlo sghembo e imperfetto, a volte lamento, a volte confidenza. Dividiamo le storie in capitoli e prendiamo giusto il fiato tra una tappa e l’altra. Ecco la sua bellezza, la sua forza, il suo essere senza tempo.
Il 2016 è stato un anno particolarmente generoso di dischi che possiamo grosso modo categorizzare sotto il termine di folk all’americana. Tutto questo mentre My Woman di Angel Olsen fa capolino insinuandosi idealmente nella selezione che stiamo per proporre e i Fleet Foxes, notizia di pochi giorni fa, annunciano il loro ritorno imminente dopo quasi 6 anni dall’ultimo lavoro. Ripercorriamo insieme alcuni splendidi dischi impregnati di spirito folk: i loro ritmi lenti ben s’abbinano all’andatura posata del nostro cavallo in mezzo a queste praterie. Iniziamo il viaggio.
Americana à go-go
Chi: Kevin Morby e Cass McCombs
Cosa: La loro musica è la cosa più vicina all’indie-rock. Chiaramente imbevuto di country e folk-roots.
Perché: Il primo è l’ex bassista dei Woods innamorato pazzo dei The Band, l’altro è semplicemente uno dei songwriter più prolifici e talentuosi che abbiamo. Difficile che uno di loro scriva canzoni brutte; con Kevin e Cass è sempre una pesca grossa e felice. Ed è inutile dirlo: siamo fortunatissimi. Ah, nella foto sopra vedete Cass insieme a Angel Olsen (che gli ha fatto i cori nel pezzo Opposite House).
Dove: Kevin Morby, Singing Saw; Cass McCombs, Mangy Love
Liberi e belli
Chi: Matt Kivel, Sam Evian e Chris Cohen
Cosa e perché: Questi tre sono davvero particolari. Kivel ha pubblicato quest’anno due dischi, il primo super-acustico e incredibilmente complesso e intenso, il secondo super-folkone (con ospite Robin Pecknold dei Fleet Foxes, taac!); Sam Evian è l’erede garbato di Mac DeMarco, classe e eleganza da vendere che si miscelano in soluzioni e sonorità compositive interessantissime; Chris Cohen, già collaboratore di Cass McCombs, vira pesantemente verso territori psichedelici.
Dove: Matt Kivel, Janus e Fires on the Plain; Sam Evian, Premium; Chris Cohen, As If Apart
La grazia pop
Chi: Whitney e Andy Shauf
Cosa: Il folk che si fa pop. Con venature soul. E George Harrison, vero padre putativo, a benedire il tutto con sguardo benevolo.
Perché: Alzi la mano chi non ha un amico, nel corso di quest’anno, che non vi ha fatto ascoltare No Woman dei Whitney. E ha fatto bene: un gioiellino del genere è da condividere, amare e cantare, così come tutto l’album di debutto dal quale è tratto. Possiamo usare le stesse parole, ma forse sarebbero riduttive, per raccontarvi l’emozione del disco di Andy Shauf. Canzoni come Early to the Party sono miracoli che nascono ogni 20 anni. Shauf, canadese, è un predestinato e The Party è per chi scrive uno scrigno di canzoni aggraziate, cesellate, perfette.
Dove: Whitney, Light Upon The Lake; Andy Shauf, The Party
Suite per deserti
Chi: Marisa Anderson e William Tyler
Cosa e perché: colonne sonore immaginarie per film western che si svolgono nella vostra testa. Marisa Anderson è una musicista incredibile che fa meraviglie con la steel guitar; William Tyler è il cowboy che muove certosino le sue dita per tessere trame di acchiappasogni indiani. Sono fermamente convinta che ci siano persone che vogliono morire accompagnati da questa musica.
Dove: Marisa Anderson, Into The Light; William Tyler, Modern Country
Opposti che vi attraggono
Chi: Ryley Walker, Lisa/Liza e Mutual Benefit
Cosa e perché: Un terzetto piuttosto variegato. Ryley Walker è senza dubbio il primo della classe: nella sua musica convergono suggestioni folk, barocche ma anche jazz e post-rock a creare un connubio ricco e complesso. Come in un gioco di perfetti contrari, troviamo Lisa/Liza, che ricorda certe trame chitarristiche di Jessica Pratt (che, tra l’altro, in questo gruppo ci starebbe benissimo), il tutto condito con una voce fragile e delicata come una foglia in inverno; Mutual Benefit fa idealmente il paio con il disco, incantevole e anch’esso uscito quest’anno, del nostro Giorgio Tuma: atmosfere oniriche e sinfoniche per un folk che si sublima disgregandosi in nuovi mondi orchestrali. Anche loro, ovviamente, senza tempo.
Dove: Ryley Walker, Golden Sings That Have Been Sung; Lisa/Liza, Deserts of Youth; Mutual Benefit, Skip a Sinking Stone
RIASCOLTATI TUTTO CON LA NOSTRA PLAYLIST