The Mountain Man è il titolo del primo EP di Wrongonyou pubblicato il 18 novembre per la Carosello Records e in effetti è anche la prima cosa che pensi quando incontri Marco Zitelli. In poco più di un anno dalla nostra prima intervista sono cambiate molte cose e per ingannare l’attesa prima del concerto al Monk di Roma, abbiamo l’occasione di chiedergli alcune curiosità riguardo l’esperienza in America, la sua crescita artistica e quell’incontro mancato con John Frusciante.
Cosa è cambiato dall’essere un super esordiente seguito da nessuna etichetta a firmare il primo contratto discografico con una major come la Carosello Records?
Ero stato contattato da Universal, Sony e Carosello, avendo fatto un po’ di riunioni e discorsi con tutte e tre le etichette. Carosello mi sembrava quella più disposta a scommettere su di me, accettando quello che facevo, vedendo del potenziale e raccogliendo, adesso, dei risultati che piano piano stanno arrivando e sono molto contento di questo. La cosa pazzesca è stata vedere come si sono messe così di corsa le cose: sono passato dal chiedermi se venisse qualcuno al mio concerto, a suonare praticamente da solo in uno stabilimento al mare a trovarmi poi catapultato a distanza di pochi mesi sul palco dell’ Alcatraz in apertura a Levante! Quindi c’è stato questo sbalzo così forte che mi ha sconvolto da una parte e dall’altra mi sta facendo crescere molto, sto entrando in un mondo che inizio ad avvertire come un vero lavoro.
Quindi tu come molti ti eri imposto il famoso limite “se non succede qualcosa entro il … lascio perdere”.
Sì assolutamente. Mi ero detto a ventiquattro anni che se entro i 26 anni non avessi combinato nulla con la musica avrei lasciato perdere, perché ok che la gavetta è lunga e non finisce mai, ma dal momento in cui ti fa star male non puoi continuarla a fare. Quindi mi sono detto se non riesco smetto… Che faccio però? Io so fare solo questo! E invece a 26 anni compiuti pochi giorni fa mi ritrovo con un contratto discografico firmato e in più sono appena tornato dall’America dove ho inciso il mio primo album… La cosa bella è che il tutto è successo a una velocità indescrivibile!
E come ti rapporti con questa velocità?
Eh… gli devo stare dietro!! Soprattutto devo seguire il flusso, e penso che se quello che sto vivendo ora mi sia arrivato tutto insieme è forse anche perché prima non ero pronto a seguire questo flusso. Invece ora devo stare pronto e andare avanti, perché voglio questo e lo faccio con tutto l’amore possibile e ringrazio sempre perché quello che mi è successo non accade tutti i giorni.
Sei stato a Los Angeles una decina di giorni per registrare il tuo primo disco con Canova, uno dei produttori italiani più grandi in circolazione. Come è andata? Come è lavorare con un professionista abituato ai grandi della musica?
L’esperienza a Los Angeles è stata una roba assurda. Ti ritrovi dentro a uno studio che ha due milioni di attrezzature, una situazione che trovi solo in America. Ad essere sincero L.A. non mi è piaciuta, è una città di plastica lontana dai miei paesaggi, ti rendi conto che la gente non sta bene. Io ho abitato 20 giorni ad Hollywood ed era pieno di barboni, o meglio di persone che hanno investito tutto quello che avevano e poi hanno fallito, e nel momento in cui fallisci non ti aiuta nessuno. Diciamo che quest’impatto mi ha dato fastidio.
Non era la tua prima volta da musicista in America giusto?
Sì, la prima volta ho suonato qui con un altro gruppo e questa comunque era la mia prima vera esperienza lavorativa, col produttore numero uno in Italia che ha collezionato dischi di platino su dischi di platino, quindi comunque avevo paura, ma venivo spronato da Michele (Canova ndr) in un modo che un anno fa mi avrebbe fatto crollare a terra e non mi avrebbe fatto combinato nulla. È duro perché ti fa capire che non ce la stai mettendo tutta e poi ti porta a dare il massimo, infatti il risultato delle cose che ho fatto in studio mi piacciono tantissimo.
In uno studio così famoso, immagino non sia troppo difficile incontrare dei mostri sacri della musica…
No! Infatti ho incontrato Quincy Jones, Herbie Hancock, Dave Pensado. Non gli ho chiesto nemmeno una foto, ho pensato che dovessi mantenere il massimo del rispetto in quella situazione… davanti a queste leggende che hanno cambiato il mondo della musica! Ricordiamoci che Quincy Jones ha prodotto uno dei dischi di Michael Jackson che ha venduto di più al mondo in assoluto. E nello studio accanto c’era proprio Dave Pensado che ha registrato e mixato a suo tempo questi dischi. Io stavo nell’olimpo dei produttori ed è stato molto emozionante. Ma lì i ritmi in studio erano serratissimi e quindi sono rimasto molto concentrato e determinato su quello che stavo facendo.
Prima di partire per l’America avevi paura di non farcela o di non essere all’altezza?
Prima di partire, sì. Poi una volta arrivato mi sono detto che stavo lì per uno scopo: partito a venticinque anni da Grottaferrata mi ritrovo a Los Angeles dopo appena due anni per registrare il mio disco con il produttore più grande che potevo avere al momento, e se lui mi ha voluto c’è un motivo. Io mi sono reso conto della cosa quando un ragazzo mi ha detto “renditi conto che stai vivendo il sogno di tutti!”. Così ho trovato la consapevolezza che quello era il mio di sogno. Mi ha formato tantissimo anche il lavoro in studio, registrando due canzoni e cinque chitarre al giorno a ritmi serratissimi.
Ma te la sei vissuta un po’ L.A.?
No, quella è stata l’unica pecca. Non ho mai superato il jet lag di andata e quindi mi svegliavo sempre prestissimo, aspettavo di andare in studio e poi la sera ero stravolto e mi risvegliavo alle sei di mattina. Quindi di Los Angeles ho visto poco, ma la cosa più bella l’ho vista fuori dalla città. Nella Death Valley, la riserva di Joshua Tree dove ho realizzato uno dei miei sogni ovvero conoscere i nativi americani, gli ultimi rimasti, ed è stato fondamentale per me. Mi sentivo più nella mia dimensione, anche se non c’era un albero, è un deserto sconfinato che ti dà l’impressione di vedere la forma della terra all’orizzonte ed è pieno di animali selvatici, di serpenti a sonagli e di puma.
Ma parliamo di John Frusciante adesso… siamo entrambi suoi super fan da sempre. Ti sei messo sulle sue tracce immagino!
Eh, ho passato i primi due giorni tra Santa Monica e Los Angeles per cercarlo, ma niente. Per me è una figura fondamentale, se suono è anche grazie a lui perché mi ha ispirato moltissimo soprattutto a non mollare, di fregarsene del passato e vivere senza nostalgia. Lui adesso fa quello che vuole, dopo una carriera nei Red Hot Chili Peppers, restando sempre uguale a sé stesso. Forse proprio per questo è così tanto amato dal pubblico, avendo anche toccato il fondo. Un’altra esperienza che mi ha fortemente emozionato in America è stato trovare il murales della copertina di Figure 8 di Elliott Smith, uno dei miei artisti preferiti in assoluto e mi sono fatto una foto nella sua stessa posizione, è stato commovente vedere quest’immagine dal vivo e non sulla copertina del disco in cameretta.
Che cosa succederà nelle prossime settimane?
Sarò in tour. Stasera però sono particolarmente emozionato perché questa è la mia città ed è da più di un anno che non ci suono, escludendo l’apertura del concerto di Daughter a Villa Ada, che per me è stato uno dei miei migliori concerti. Ma stasera ho tremendamente paura che non verrà nessuno!!!
…E infatti la serata è andata sold out!