All’anagrafe di Los Angeles è registrato, da più di mezzo secolo, come Greg Broussard ma in tutto il mondo è conosciuto come Egyptian Lover, uno dei pionieri assoluti di quella imprescindibile fusione tra hip-hop ed electro che tanti frutti ha prodotto nella scena dance internazionale, anche in contesti come l’house e la techno. Con più di trent’anni di carriera alle spalle, è lui uno dei padri putativi di tutta la scena musicale fiorita sulla West Coast americana, dato che già nei primi anni 80 ha contribuito a far emergere il suono della Roland 808 che successivamente avrebbe influenzato i produttori hip hop, r’n’b, techno o più in generale di dance music, di tutto il mondo. Difficile immaginare il suono di Dr Dre e degli NWA senza le invenzioni del Faraone Electro, per stessa ammissione dei diretti interessati.
Le prime uscite discografiche a firma Egyptian Lover risalgono alla metà di quel famoso decennio marchiato dall’edonismo reganiano, dal postmodernismo e dalla nascita di Photoshop, quando la scena electro era già in piena esplosione. Storiche hit come ‘Dubb Girls’ e ‘Dance’ e album fondamentali come ‘On The Nile’ e ‘One Track Mind’ sono marchiate Egyptian Empire Records, dato che Greg Broussard fu uno dei primi produttori ad avere l’idea di creare un’etichetta indipendente. E, dato che quei dischi vendevano molto, fu anche uno dei primi a comprarsi uno di quei costosissimi aggeggi a forma di ferro da stiro che erano i prototipi dei telefoni cellulari. Ma con lo stesso imprinting sono uscite anche le sue ultime produzioni: l’album ’1984’ del 2015 e il 12” ‘Killin’ It’ dell’anno scorso.
Nel mezzo ci sono le parentesi con Freak Beat Records, l’etichetta responsabile dei suoi capolavori assoluti, come i singoli ’Egypt, Egypt’ e ‘Computer Love’ che hanno lasciato una traccia indelebile nella storia della dance music. Non meno rilevanti alcune collaborazioni, fondamentali nel definire nuove possibili aperture del mondo sonoro di Egyptian Lover. Quelle con M.I.A. e Rye Rye (‘Rock Off Shake Off’), Jamie Jones (‘Galactic Space Bar’), 3 is a crowd su Mental Groove e James Pants su Stones Throw sono le più note.
La celebrazione definitiva del suo immenso talento è uscita nel marzo 2016, sulla sempre attenta Stones Throw Records, e porta il titolo di ‘Egyptian Lover 1983-1988’. Si tratta di una speciale antologia che parte dalle prime produzioni, influenzate da Kraftwerk, Prince e Rick James e riconosciute come influenze fondamentali dai protagonisti della scena rap sulla costa ovest, passa dai pezzi impreziositi dal rap dello stesso artista e arriva ai grandi successi internazionali di pezzi come ‘Dial-A-Freak’ e ‘Freak-A-Holic’ che, fondendo ritmi up-tempo, beat profondi, rap vocale e synth lisergici, trasformano Egyptian Lover in una vera e propria celebrità dell’underground americano, capace di riunire 10.000 persone in uno storico party alla L.A. Sports Arena assieme ad Uncle Jamm’s Army.
Nelle sue performance mescola dj set rigorosamente in vinile & live, con i beat della sua mitica batteria elettronica 808 creati dal vivo e fusi organicamente con la selezione al mixer, per creare quell’atmosfera unica che trasformerà, nella sua prossima apparizione italiana curata da Autentica, il Full Up di Firenze in un club di Los Angeles nel 1984. Ne abbiamo approfittato per rivolgere qualche domanda telefonica al Faraone. Pare ci abbia risposto da uno smartphone di ultima generazione.
Come è nato il personaggio di The Egyptian Lover?
Sono cresciuto in un sobborgo di South Central, Los Angeles, in un momento nel quale quell’are aera davvero tosta. La mia fantasia mi teneva vivo, proiettandomi in situazioni immaginarie molto distanti da quelle che vivevo nella realtà. Una delle più ricorrenti era quella nella quale diventavo il re di un impero egizio. Mi son dovuto accontentare di diventare uno dei piccoli boss del quartiere ma quel nome mi è rimasto appiccicato addosso.
Come ti sei avvicinato alla musica?
Per andare a scuola dal mio quartiere impiegavo due ore di autobus. All’inizio, nel tragitto, ascoltavamo la radio. Poi ai miei compagni è venuto in mente di istituire una specie di gare a chi riuscisse a registrare il miglior mixtape da ascoltare sul boombox. I miei erano quelli che piacevano di più, per quell’originale mix di pezzi rap, basi strumentali e varie elaborazioni che producevo in maniera assolutamente analogica. Così ho cominciato a venderli. Da lì ho capito che potevo fare dei dischi e riuscire a venderne tanti.
Con la crew Uncle Jamm’s Army, avete sconvolto la scena di Los Angeles con i primi show nei quali si mescolava DJing, rap, scratch, cutting e canzoni eseguite dal vivo. C’è un’attitudine profondamente hip hop all’inizio della tua carriera?
In quel momento non c’era niente di simile su un palco e tutto stava accadendo nello stesso tempo: uscivano i primi piatti e i primi mixer da dj e c’era da immaginare come usarli per farci un party, a New York come a Los Angeles.
Il suono della West Coast non sarebbe stato lo stesso senza le vostre prima sperimentazioni…
Gli esordi produttivi di Dr Dre e Arabian Prince erano profondamente influenzate dai miei primi pezzi da solista che avevano avuto un enorme successo commerciale nell’area di Los Angeles. Tutti quelli che si mettevano a fare musica da quelle parti avevano le mie hit come suono di riferimento, dato che suonavano totalmente diverse da qualsiasi cosa si fosse sentita prima.
La scena musicale di quella città è molto cambiata oggi. La segui ancora?
La quantità di gente che produce musica è aumentata a dismisura quindi non riesco a seguire ed essere connesso con tutti. La cosa che mi conforta è che anche le nuove generazioni mi riconoscono e sanno quello che ho fatto. D’altra parte io continua ancora a divertirmi tanto a registrare musica nuova e questa è la cosa più importante.
Ricordo di aver letto da qualche parte che una delle tue principali ispirazioni è stato Dean Martin. È vero?
Certo. Questo accadeva prima di quella storia sull’autobus. Ascoltavo molto i dischi della collezione di mio padre e tra questi adoravo quelli di Dean Martin. Amavo molto anche i suoi film: era un tipo troppo cool e io sognavo di essere come lui. In particolare ero ossessionato da una sua canzone, ‘The middle of the night is my cry time’. Tanto che ho preso tutto il mood di quel pezzo e ci ho fatto una delle mie hit, ‘I cry (night after night)’.
Quando hai cominciato a usare la Roland TR-808?
Registravo su nastro un sacco di rap ma mi mancavano le basi così andavo in giro a cercare musicisti adatti per farle. Sino a quando, nel 1983, non incontrai Afrika Bambaataa. Mi disse che loro avevano cominciato a usare quella batteria elettronica. Andai subito nel negozio più vicino a provarne una con il commesso che mi spiegò come fare le prime cose. Andai a casa e mi misi subito a produrre i miei primi beat. Poi mi portai dietro la 808 al primo party e sul drop di ‘Planet Rock’ cominciai a suonarla dal vivo. La gente era stupita e sorpresa perché nessuno sapeva cosa fosse quello strumento. Fu fantastico.
Sei stato tra i primi produttori in grado di fondare la propria etichetta personale, la Egyptian Empire Records. Come ti è venuta l’idea?
Non ho mai amato che qualcuno mi dicesse come fare i dischi, quando farli uscire e cose del genere. Quindi ho pensato di creare la mia label per avere la massima libertà artistica. Mi prendevo la libertà di far uscire i dischi quando mi pareva, anche a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro, magari perché sentivo che quel pezzo doveva uscire in quel momento e non dopo. Non mi interessava il denaro, tantomeno le strategie di vendita: semplicemente volevo il controllo completo su tutto. Aprirmi la mia etichetta è stata la cosa migliore che potessi fare: quei dischi vendevano tantissimo.
Hai cominciato come dj. Che ti pare della situazione attuale?
Credo che oggi sia troppo semplice fare il dj. Quando ho cominciato era molto più faticoso ma, soprattutto, divertente. Toccava girare un sacco di negozi per dare la caccia a quella chicca che avrebbe reso il tuo set diverso da quello di chiunque altro. Dovevi cercare l’etichetta giusta, trovare il nome dell’artista, districarti tra uscite anonime, arrischiarti a comprare dischi che magari non avresti mai suonato, provare i set a casa, parlare con un sacco di gente nei negozi… Oggi si fa tutto senza lasciare la propria cameretta, ricalcando playlist scritte da altri, scaricandosi i brani da youtube e andando a suonare ai party con una chiavetta usb. Così facendo si perde la passione per quest’arte e il contatto umano. Sono due errori troppo gravi per non pensarci.
Il tuo ultimo album si intitola ‘1984’. Come è nato?
Quell’album è una delle mie più grandi gioie personali. Ci ho messo molto a realizzarlo e l’idea che avevo era di riportare alla luce il suono old school, come in un viaggio nel tempo che volevo amassero i miei vecchi fan come quelli che si avvicinano alla mia musica solo oggi. Quando sono andato in studio con la mia attrezzatura analogica hanno cominciato a venire fuori un sacco di pezzi tanto che sono pronto a fare uscire un nuovo album. Si chiamerà ‘1985’ e sarà, ancora una volta, su Egyptian Empire Records.
Nel 2016, su Stones Throw Records, è uscita una bella raccolta celebrativa delle tue prime produzioni. Che effetto ti ha fatto?
È stata un’operazione fantastica, fatta col cuore da Peanut Butter Wolf e il resto della sua squadra. Trovo grandioso il modo in cui è stata realizzata l’uscita: la qualità sonora è davvero alta, il booklet curato nei minimi dettagli e la versione con quattro vinili è grandiosa. Poi c’è quel singolo promo uscito come un 7” triangolare in un packaging piramidale che è una vera e propria chicca da collezionisti.
Sono 30 anni che giri il mondo a suonare. Cosa ti fa avere ancora voglia di farlo?
Il divertimento che provo nel farlo. E poi i fan più giovani che continuano a scoprire la mia musica. Mio padre faceva il dj prima di me e mia padre era una collezionista accanita di dischi. Ora io posso suonare i loro dischi davanti ad un pubblico di varie generazioni che ballano insieme. Questa è la cosa più bella.
Come funziona il tuo nuovo live?
Nel nuovo set ho sintetizzato tutte le performance fatte sino ad ora, quindi ascoltando il mio live ora puoi seguire tutta l’evoluzione di Egyptian Lover: dai dischi che suonavo negli anni 80 alle mie tecniche di scratch, dall’editing live dei pezzi ai beat composti in tempo reale con la batteria elettronica, dai miei balli alle mie canzoni, fino alle anteprime sulle mie prossime uscite.
di Andrea_Mi