Ciò che si poteva contestare a Views -quasi tre miliardi di ascolti streaming nel 2016, primato assoluto- era la mancanza di coesione. La città che si intravedeva da lassù era troppo frammentata; accontentava tutti senza che nessuno fosse contento davvero.
Non era individuabile, in sintesi, un’estetica specifica, al contrario di Take Care e il suo lusso minimalista, o Nothing Was The Same e If You’re Reading This…, due facce adiacenti della stessa energica tracotanza.
Pur cosciente di tale difetto, era impossibile che Drake scegliesse di rinunciare alle sue variopinte hit da record -l’afrobeat di One Dance in cima ad ogni lista- o alla sua street credibility -sottoforma di rap insistente e astutamente grezzo.
Proprio perché studia e conosce se stesso, Drizzy si siede nella stanza in cui è più a suo agio: piena di collaboratori, a creare un circolo incessante di influenze ora di artisti su di lui, ora di lui sui suoi artisti preferiti.
Di nuovo l’incoerenza, di nuovo la postmodernità: ancora una volta, Drake esige di essere in più luoghi allo stesso tempo. Da Toronto a Houston, da Atlanta a Calabasas, da Kingston a Londra. E come un buffet si fa chiamare degustazione per legittimare l’accostamento di sapori contrastanti, ecco che Drake, con il suo talento di venditore, mette le mani avanti. More Life viene annunciata come playlist: a questo punto nessuno può pretendere un album leggendario, perché di album non si tratta. Il risultato è costruito sullo stampo di OVO Sound Radio, show bisettimanale della sua etichetta su Beats Radio. Lo scheletro narrativo è esile, intro e outro sono scorci quotidiani di persone più vicine allo stile di vita di Aubrey Graham che alla sua vita in sé.
La consapevolezza enciclopedica di un personaggio così grande nel panorama pop mondiale è solo ed esclusivamente positiva: il canadese usa l’arma del web per puntare i riflettori su chi, a suo presuntuoso ma ammirato parere, merita attenzione. Ecco che -con feedback altalenanti- un’importante rappresentanza del Regno Unito fa capolino nel progetto più visibile al mondo. Jorja Smith ha doti da star, e ammorbidisce il terreno come una pioggia d’estate: sostanzialmente l’unica voce femminile del disco, il posto a sedere è suo. Giggs, storico rapper di Londra, fa due apparizioni, rimane impresso e calza a pennello su due beat appositamente tendenti all’allarmismo dei suoni grime.
Skepta, come sperato, è presente all’appello: al pari di Jorja Smith, ha un interlude a suo nome. Il beat un po’ buffo e le affermazioni incisive ma divertite ci fanno immaginare un Drake sorridente, soddisfatto di sentire la dedica di un grimer legato a lui tramite un sanissimo misto di amicizia e ammirazione. Un paio di beat sono affidati a Nana Rogues, producer inglese responsabile del successo dei Section Boyz, con cui Drake ha condiviso più di un palco; uno spezzone vocale appartiene al giovanissimo londinese Dave, di cui Drake aveva sponsorizzato e remixato il singolo Wanna Know. Non solo UK, ovviamente: tra i featuring compare anche Black Coffee, popolarissimo dj sudafricano. Ultimo ma primo, il sample d’apertura dell’intero progetto è scippato agli Hiatus Kiayote, band neo soul di Melbourne. La playlist dichiara che non esiste solo l’hip hop formulaico delle radio statunitensi, e non c’è solo un sentiero possibile. Molto altro può essere rilevante: More Life, appunto.
L’espressione è preso in prestito dallo slang giamaicano, reso famoso da Vybz Kartel traducibile in un augurio di buona salute. La Jamaica è ormai una scontata ispirazione: come Controlla, Too Good e With You nel suo lavoro precedente, Blem e Madiba Riddim esplorano sonorità caraibiche, con ritmi d’altri luoghi e lessico meticcio. I saluti alla crew Unruly di Popcaan e Vybz si sprecano; trattamento identico per la Boy Better Know di Skepta. Producers provenienti dall’hip hop targato Nordamerica –Murda Beatz, Boi-1da, Nineteen85 e Frank Dukes su tutti- sperimentano contaminazioni coraggiose, citando dancehall, grime e addirittura house.
Il desiderio di Drake di valutare quali vette può raggiungere è provato da Glow. Finalmente la collaborazione con Kanye West, e nonostante la potenza di fuoco del pezzo -pianificato alla perfezione con 40, producer e ingegnere di fiducia, e Oliver El-Khatib, che completa il trio al vertice di October’s Very Own– il prodotto è scarno, e porta un concetto semplice ma consistente: attenti, sto per brillare.
Un verso emblematico è I just take the dreams I’ve been sold / And sell ‘em for more: Drake dichiara la sua famosa poetica, ovvero riprendere ciò che gli piace, reinterpretarlo, e riconsegnarlo lucidato. Così il beat di Ice Melts ricorda molto la bellissima ridicolaggine di Broccoli, così la prima strofa di KMT richiama il flow virale di XXXTENTACION.
A tratti, la sensazione è che alcune dimostrazioni di stima da parte di Drake siano unilaterali. Anche se non fossero ricambiate, tuttavia, a nessuno converrebbe rifiutarle: Meek Mill, suo malgrado, insegna. In realtà il rispetto, come prevedibile, non manca: lo dimostra lo stato di forma di tutti gli ospiti, da Young Thug -che in Sacrifices distribuisce una delle strofe migliori della sua carriera- a Quavo e Travis Scott, passando per l’allievo-presto-maestro PARTYNEXTDOOR e l’infallibile Sampha.
Di certo, Drake è in grado di garantire una costante razione di release qualitativamente valide -un album all’anno, a cui si aggiungono chissà quante comparse, decine di co-sign e, se siamo fortunati, qualche progetto collaborativo- nonostante la morsa discografica in cui si trova. Beninteso, lui può fare quello che vuole: ciò che non vuole, però, è escludere fette della sua fanbase, ora pressoché universale.
In More Life manca qualche sforzo vocale e, proprio come Views, lascia nei timpani un vago senso di incompiutezza.
Si giunge però ad un compromesso in cui, alla fine, vincono tutti: all the love I need is here at OVO, dice, e noi lo ascoltiamo indipendentemente da quello che avremmo voluto da lui. In una settimana, siamo inevitabilmente invasi da tweet, memes, citazioni e voglia di fare la faccia cattiva o danzare, a seconda del nostro umore e del suo. Magari ci turba il suo sorrisino compiaciuto, ma è un professionista troppo versatile perché ci sia permesso di resistergli.
Drake può ancora crescere: il bello è che, da qualche parte nella sua agenda, lui lo sa.