E ora mettiti comodo e leggi il disco raccontato dei Pulsatilla: il loro omonimo EP d’esordio sa di psichedelia guitar-oriented ispirata ai Real Estate e a Mac DeMarco.
Prego pure.
EURITMIA
Erano quasi le 2 di notte, di un freddo novembre, quando nacque “Euritmia” nella nostra sala prove di allora, sperduta nella riviera. Un urlo di speranza, dolore e consapevolezza tradotto in musica da chitarre graffianti, dolci e sfuggenti, che si sovrappongono l’una con l’altra circondate da un giro di basso irrequieto che sale e scende di continuo su scale che tremano e si sgretolano a causa di una batteria insistente, compulsiva e martellante. Una delle canzoni più emotivamente potenti che abbiamo scritto finora. Ogni strumento di questo brano parla da per sé creando un insieme caotico e frenetico.
A tutto questo si contrappone una linea vocale abbastanza mononota, diciamo, che rappresenta su certi aspetti una staticità. Questa canzone è dualistica sia dal punto di vista testuale che musicale: da una parte si cerca la fuga, dall’altra ci si rende conto non abbia senso sempre fuggire; da una parte dunque si vede il proprio male e lo si fugge, dall’altra lo si vuole affrontare; da una parte una musica incalzante, ripetitiva e frenetica, dall’altra una voce mononota; dunque da una parte il movimento, dall’altra la stasi.
Questo brano l’abbiamo chiamato “Euritmia” perché l’euritmia è un’arte di movimento, appunto, creata da Rudolf Steiner. Noi non siamo esperti in materia e non seguiamo l’antroposofia steineriana però abbiamo scoperto e ci ha anche colpito molto il concetto che sta alla base di questa arte. In ogni caso essendoci informati quella volta a riguardo, trovammo una citazione, di H.Koebel, che ci ispirò molto e che è la seguente: “Fare euritmia vuol dire in concreto meditare in movimento, creare, in mezzo alla confusione della vita, il più grande cosciente equilibrio dinamico calmo fra corpo, anima e spirito.” Speriamo in qualche modo di esserci riusciti.
ADAGIATO
Questo brano è stato uno dei primi ad essere sviluppato, con l’intento di esprimere un senso di delicatezza e di “terrore velato”, descrivendo la situazione sentimentale di uno dei componenti.
Tutti e noi quattro tendiamo ad avere un’attitudine malinconica nel vivere l’amore, a concederci e rivivere momenti vivi del passato e combattere contro il “terrore velato” che ci trafiggerebbe perdendo il cuore di una persona. La frase “brillare adagiato e splendere con te” non è una certezza a lieto fine, ma è la speranza che incoraggia a rincorrere un’ipotetica felicità.
La struttura musicale è stata studiata appositamente con vari stacchetti e pause, per poi esplodere nel ritornello, come l’accumularsi di pensieri nella mente, esternati poi da un grido all’unisono.
LA BALLATA DI MORFEO
Questa canzone è la cugina di secondo grado di “Euritmia” come contenuto testuale anche se è più sognante. Sembra uscita a momenti dall’album “Heaven or Las Vegas” dei Cocteau Twins, da quanto è dreamy.
Una voce che cerca di stare nella realtà e che non capisce neanche più quale sia, ostacolata da una musica appunto molto sognante e onirica. Un altro dualismo e un altro dibattito: sogno contro realtà, anima contro ragione, sentimento contro razionalità.
La ballata di Morfeo è una canzone-sveglia. È come andare a sbattere contro uno specchio e vedersi per la prima volta cominciando a interrogarsi e andare in dubbio su quale sia veramente la realtà della vita e di se stessi.
È una canzone che educa alla resilienza, o almeno ci prova. Morfeo è il dio del sogno e uno dei tre fratelli oineroi, déi minori della notte nella mitologia greca.
Abbiamo chiamato questo brano così perché chiaramente si intende che Morfeo, metafora del sogno e dell’estraniarsi diciamo dal reale, sia colui che impedisca la resilienza e l’affrontare “quello che fa più male”, come dice la canzone.
Sappiamo che nel suo significato mitologico questo dio agiva nella notte, ma ci interessava estendere la metafora anche per quelle volte che spesso c’è la “notte” di giorno.
TEMPO STRETTO
È nata banalmente da una riflessione meditata in un giorno scolastico dove il sole era offuscato dalle nubi. Il tempo citato nel titolo e nel testo risulta essere ostico nei confronti di un ragazzo appena maggiorenne. Non sa quello che sarà della sua vita e nel ritornello si parla del sole inteso come compagna che se ne è andata via.
Rimane solo un vuoto incolmabile e il ricordo di momenti felici che non torneranno più con la stessa forma. Si è scelto in fase compositiva di scandire la strofa con un 7/4 per dare maggior risalto al ritornello che diventa un 4/4 dando una speranza alla domanda: “Dov’è il sole?”
SCONOSCIUTA
È il prodotto di un conflitto emotivo. Parla di una persona che ritorna sui suoi passi dopo una gelosia infondata giocando nuovamente con i sentimenti dell’interlocutore. Il rapporto in precedenza idealizzato diventa poi una forma di consapevolezza amara tanto da rendere quella persona un pensiero cancellato. Rimangono ricordi vaghi che portano a razionalizzare quanto accaduto. La salita ripetuta nel finale è il corso frastagliato della vita che si affida al destino. Le sonorità cupe e le chitarre acide sottolineano l’angoscia che si prova nei confronti di chi vende ipocrisia.
PSORA
Parla del ritorno di un sentimento che si pensava sopito. È una canzone d’amore, ma che non diventa dedica. Dopo aver scritto questo brano abbiamo poi registrato il disco. Tutte le altre tracce del disco sono state concepite prima. Forse è la canzone più ermetica testualmente di tutto il disco.
Spiegare cos’è la psora, come anche la sicosi, è un po’ difficile. La psora e la sicosi sono nella dottrina omeopatica due delle tre predisposizioni miasmatiche. Non staremo a spiegarvi altro, perché non ne abbiamo le competenze.
Uno di noi quattro è figlio di un omeopata e ha sentito questa parola parecchie volte chiaramente nella sua vita e ha potuto anche approfondirne il significato, solo che rimane ugualmente difficile da spiegare nella sua interezza e specialmente nei riguardi della canzone presente nel nostro disco.
Vi lasciamo con un velo di mistero.
OUTRO
Questa canzone dalla durata di 1:34 forse è la più dolce del disco ma allo stesso tempo anche la più sperimentale. È un dialogo tra quattro strumenti, è il dialogo musicale tra noi quattro. In questa canzone potete conoscerci, potete capire chi siamo. Anche nelle altre canzoni potete capirlo, chiaro, solo che spesso la linea vocale distoglie l’attenzione dalla parte strumentale.
All’inizio questo brano non ci doveva neanche essere, poi abbiamo deciso di metterlo e ora forse è il brano a cui siamo più affezionati. Doveva essere un intro, ma non sentivamo avesse del tutto le caratteristiche da intro.
Ci sembrava più un “arrivederci” che un “benvenuto”. Per cui abbiamo deciso di metterla alla fine a fare da giunzione tra il disco e l’ascoltatore direttamente; la bellezza di Outro sta proprio nel fatto che racchiude tutto il disco secondo noi e porta dentro sé tutte le sonorità delle altre canzoni.
Questa canzone esprime molto bene la malinconia che viviamo: una malinconia dolce che sa di tramonto estivo in campagna.