AKE è il nome -un gioco tipografico- del progetto musicale in solitaria di Elia Pellegrino, membro del Pugile, di stanza a Torino. Le sue prime produzioni sono raccolte in un EP pubblicato nel 2013 su LTD/Forevergreen.fm. È il risultato di un periodo di due anni di intensa attività dal vivo: Club To Club, Jazz:Re:Found, Encode Festival, oltre ad una solida presenza tra i principali nomi del clubbing a Torino.
Quello che vi presentiamo oggi è il suo primo singolo estratto dal nuovo lavoro, A New Father, in uscita il prossimo 9 giugno per SOVN.
Ecco Zenabi.
Qualche parola su A New Father:
«La prima forma di paternità che ha ispirato AKE è quella della musica classica. Questa, il primo ambito di formazione musicale per AKE, è un padre troppo severo. Le estetiche dell’IDM, del glitch e della techno diventano una irresistibile via di fuga dalle rigidezze dei metodi classici e dei preludi di Bach. AKE comincia allora a mescolare campioni, droni generati con la sintesi granulare, melodie sintetiche e suoni acustici. Essere un “pessimo allievo” per i suoi insegnanti classici, come sostiene di essere stato Elia, è il risultato di un primo rigetto di una paternità troppo pesante. Una negazione istintiva dei propri padri.
La seconda forma di paternità a muovere AKE verso la produzione di A New Father è la paternità di se stesso. All’origine di questi pezzi c’è stato, nelle parole di AKE, un “vagare nei meandri del mio inconscio”, alla ricerca di una “evoluzione interiore”. Un processo durato due anni, e fatto di tre ondate successive. I pezzi di A New Father sono la rappresentazione del percorso fatto, e la riproduzione dell’ambiente più adatto per questo viaggio interiore. Lo strumento che meglio permette ad AKE questa rappresentazione è il timbro: melodia, armonia e ritmiche rimangono secondarie. Risponde alla necessità, per AKE, di fare da guida, da padre, a se stesso nel proprio viaggio interiore.
La terza forma di paternità è arrivata alla fine della produzione dei pezzi del disco: AKE è diventato padre, nel senso comune del termine. “Diventare padre ha significato smettere di essere figlio e al tempo stesso capire davvero cosa vuol dire essere figlio”, dice. “Come trovarsi all’improvviso dall’altra parte dello specchio a guardare una faccia che in realtà è la tua faccia. La conosci perfettamente perché fino ad un attimo prima quello era il tuo naso, la tua bocca, i tuoi occhi. Ma adesso quello non sei più tu.”»
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