“And then I see you
The light falls through the room
And all of it don’t seem so hard.”
Rostam Batmanglij lo conosciamo come componente (tastierista, bassista e corista) dei Vampire Weekend – che (gossip per i fan) hanno annunciato poco fa che sono all’80% del nuovo disco, ma senza Rostam. L’abbiamo sentito anche nell’ultimo progetto con Hamilton Leithauser “I Had a Dream That You Were Mine”, ma quello che forse non sappiamo è che ha prodotto alcuni brani che ci ascoltiamo ogni giorno: The Trick dei Das Racist, Need Ur Luv di Charli XCX, Warm Blood di Carly Rae Jepsen, molti pezzi delle Haim, di Santigold e di Declan McKenna, F.U.B.U. di Solange e Ivy di Frank Ocean. Rostam più che un compositore e produttore è uno di quei binocoli di ferro con la pedana che ci sono davanti ai panorami: basta guardargli attraverso per vedere il mondo più vicino, più nitido.
“Half-Light” è il suo primo progetto solista, un disco bellissimo e ricco di emozioni e di suoni, una passeggiata in un mercato iraniano con la luce del sole che filtra attraverso i tendoni colorati, l’afa e la mano appoggiata sulla borsa perché sulla Lonely Planet c’era scritto di stare attenti e perché crediamo alle parole più che alle persone. Inutile dire che ci ricrederemo tra meno di un’ora. Quest’album è un’autobiografia, la storia semplice di un compositore americano a cui è capitato di essere gay e figlio di genitori iraniani immigrati. Un disco devastante e intimo, una piccolissima rivoluzione sotto la gabbia toracica.
Sumer è il primo brano, quello in cui capiamo da chi venivano tutti gli arrangiamenti dei classici Vampire Weekend. Il viaggio inizia quindi da dove l’abbiamo incontrato la prima volta e finisce dopo 52 minuti, nei quali abbiamo decisamente scoperto Rostam. Già dall’inizio tutto ci sembra familiare e intimo, come se stessimo entrando a casa di qualcuno che conosciamo già, che ci lascia la porta aperta dopo le scale senza preoccuparsi di aspettarci davanti all’entrata. Mi tolgo il cappotto, lo appoggio allo schienale della sedia incrociando le gambe una sull’altra, mi sto già lamentando del traffico e complimentando per il profumo della cena che mi aspetta.
Bike Dream è secondo me il brano fondamentale del disco, uno specchio nascosto negli occhi scuri di Rostam in cui quando lo guardiamo ritroviamo il nostro riflesso. Questa molteplicità di persone, di vite, è quello che ci aspetta nel ritornello (questo disco è pieno di ritornelli: che meraviglia ❤)
Two boys, one to kiss your neck
And one to bring you breakfast
Get you out of bed when
You’re sore from the night before
From knocking on my door
Your head against the floor boards
Two boys, one to love you sweetly
One does so discreetly
Never will he meet me
But I’m sure that you’ll catch your breath
You’ll sleep into the day
To wake up with sunlight across your room
che parla in realtà non di due ragazzi diversi ma delle diverse modalità in cui vorremmo essere quando stiamo con una persona, prendendo i vantaggi da una e dall’altra faccia, come un prisma con il sole.
t e l l m e s o m e t h i n g o r n o t h i n g
Siccome io sono una persona che vive di liste, ne scrivo una qui con dentro tutte le cose che amo di questo disco:
gli ultimi trenta secondi di ogni canzone / le righe della pioggia addosso ai vetri / le batterie che ci mitragliano in Don’t Let It Get To You / la sensazione di viaggiare nei fili, come la corrente / l’ombra che è l’ultima cosa che se ne va di quella persona controluce in EOS, “Lo and behold, you were here now you’re gone” / il momento esatto in cui capiamo che le cose che volevamo diventano impossibili e iniziamo a guardarle con dolcezza / i primi due minut di When, la voce gentile di Rostam tra le percussioni mi ricorda Tomboy di Panda Bear / il rumore delle chiavi che girano nella serratura, che vogliono sempre dire ‘eccomi’ / le foglie dell’eucalipto / “I believe I will see you again at the dawn of creation” (I Will See You Again) / avvicinarsi nei sogni, ritrovarsi distanti nella realtà / la scoperta della sessualità di Rudy scritta sopra un sottofondo reggae / la luce del sole quando si avvicina piano da est / l’arco che tocca leggero le corde del violino / il suo nome scritto in persiano sulla copertina / alzare il volume al massimo per ascoltare Eos, e partecipare a questa cerimonia intima alla quale ho avuto la fortuna di essere invitata / gli occhi che mi si riempiono di lacrime (buone) quando sento “Sometimes I laugh when I think about how you know me” / le nuvole basse che coprono le montagne / gli scheletri che dicendo “permesso” escono dagli armadi.
“Half-Light” è un album che si sdraia a pancia in su sul letto e mi tiene in equilibrio orizzontale con i piedi nudi che mi spingono gli addominali. I miei capelli lunghissimi cadono su di lui e gli sfiorano la maglietta: sento un dolore fortissimo nella pancia, ma mi sembra di volare.