LIBERATO
Poche ore prima che il primo singolo di LIBERATO rimbalzasse sulle bacheche Facebook di praticamente tutti quelli che stanno leggendo queste righe, una persona con cui condivido la città di nascita (incidentalmente, la stessa di LIBERATO) mi aveva fatto ascoltare, in via confidenziale, “9 maggio”. Come spesso mi succede l’avevo ascoltato distrattamente, accorgendomi dei suoni – non per forza originali ma pur sempre graditi – e sorprendendomi per l’uso del dialetto. Appartengo a quella generazione (e forse anche a quel segmento sociale) di napoletani che hanno imparato a conoscere il neomelodico con una certa diffidenza, arrivandone ad apprezzarne le potenzialità solo più tardi. C’è una fase nella vita di tutti quelli che condividono la mia età e/o condizione, in cui si impara ad odiare il neomelodico, dopo averne cantato per anni i testi tutti uguali.
Questo non significa, s’intende, che LIBERATO sia figlio della riqualificazione del neomelodico, anzi. È ottuso ricollegare forzatamente il dialetto con il neomelodico (non solo per l’assenza del vibrato), come spesso è ottuso l’uso che si fa della parola neomelodico. LIBERATO, semmai, è figlio d’altro. Come è stato fatto notare da più voci, la tradizione melodica napoletana è forse la più importante tradizione musicale italiana, la prima a lasciarsi contaminare dalla musica nera, l’unica ad innovare in maniera “tradizionale”. Parliamo dei lavori di Senese, di Daniele, di Tony Esposito, in un certo senso degli Almamegretta. Essere napoletano vuol dire sentirsi orgoglioso dal lavoro svolto da questi pionieri, e ci mancherebbe, senza però dimenticarne altri. Una volta Speaker Cenzou mi disse che Nino D’Angelo, il primo Gigi D’Alessio, o nomi meno noti a livello nazionale come Franco Ricciardi o Natale Galletta (per non menzionare i film di Mario Merola) hanno segnato in maniera indelebile la vita di ogni napoletano più o meno vicino alla musica.
Lo dice anche Enzo Dong in “Oi Ma”: «pur’ ‘a voc’ ro’ mercat’ po’ m’ha condizionat’, Maria Nazionale manc’ foss’ Schubert».
Cosa c’entra tutto questo con Liberato? Il grande merito di LIBERATO, al netto della famigerata “orecchiabilità” dei testi, è stato quello di aver reso moderno tutto quello che abbiamo appena accennato, di averlo traslato su di un piano “mainstream”, dove per mainstream intendiamo un filone sonoro che passa da Flume all’R&B senza lasciare indietro nulla di quello successo negli ultimi 10 anni nella musica internazionale. Tenendo bene a mente che stiamo parlando di un fenomeno “di nicchia”, è stato strano e bello constatare la sua diffusione immediata, viscerale, così come viscerali e stizziti sono stati i cori contrari. LIBERATO non è un genio, LIBERATO non ha inventato niente, LIBERATO è tutta una trovata di marketing.
Ma chi è LIBERATO?
In questi mesi passati a intonare “t’agg vist’ ca turnav’ ‘nziem a nat’” e “it’s me and you”, le ipotesi sono state tante e tutte in un certo senso plausibili. Il primo pensiero di tutti è andato immediatamente ad Ivan Granatino, neomelodico (un tempo) che ha saputo evolvere la sua arte, diventare pop, e che effettivamente sembrava avere tutte le carte in regola per impersonificare LIBERATO. Poi la smentita, secca, avvenuta tramite una registrazione caricata su Youtube, che se da una parte deve essere presa per buona, dall’altra non ha fatto che alimentare i dubbi. La voce di Liberato infatti, pitchata com’è, assomiglia (ma non è uguale) a quella di Granatino. C’è chi dice che quella voce potrebbe essere di chiunque, e non ha tutti i torti.
Per le circostanze con cui mi era arrivato Liberato – quel mio contatto napoletano è di stanza a Londra – avevo per un attimo pensato che dietro Liberato potesse esserci CoCo. Per sonorità e per estetica (oltre al fatto che CoCo vive a Londra) la cosa poteva reggere, se non fosse altro che A) non avrebbe avuto alcun senso e B) l’accento – unica cosa non pitchabile (o almeno credo) – non coincideva. La questione dell’accento è, secondo me, centrale in qualsiasi presunto discorso sull’identità di LIBERATO. Mi pare infatti che l’accento di LIBERATO sia da prettamente napoletano, intendendo con questo un residente a Napoli e non nella sua provincia. È un dettaglio che magari può essere impercettibile per i non napoletani, ma che salta agli occhi di chi è cresciuto sentendo quell’accento e confrontandolo con tutte le declinazioni possibili. E questo è un punto.
L’altro punto riguarda le uniche informazioni sicure su LIBERATO. Ci arriviamo tra un attimo.
Sarebbe bene sgombrare infatti il campo da alcune ipotesi che pure erano circolate con insistenza. Una riguardava Livio Cori, ma trova effettivamente poco riscontro per due motivi: Livio Cori si è sempre mosso su territori più vicina all’hip hop o al “suono-Drake”, e pur volendo considerare questo un suo side-project, la scrittura sarebbe troppo diversa da quella a cui ci ha abituato. Il secondo è un motivo molto più personale: conosco Livio dalle scuole superiori, abbiamo tantissimi amici in comune e mai una volta, sulla bacheca Facebook di nessuno di loro è comparso un qualche riferimento a LIBERATO. Strano per un fenomeno tutto web. La seconda, e ultima in ordine temporale, riguardava Alfredo Maddaluno, metà degli YOMBE, e che avrebbe potuto avere sonorità vicine. Fonti molto vicine a lui ci hanno categoricamente smentito la cosa. Veniamo quindi a quello che sappiamo concretamente: di LIBERATO conosciamo per certo la sua estetica, divisa tra Tumblr e una conoscenza perfetta di Napoli e di quello che la circonda. Una conoscenza che passa dall’arte di Francesco Lettieri e dei Cazzimma Brothers. Senza Lettieri (regista, tra gli altri, di Calcutta, Truppi e Emis Killa) LIBERATO non esisterebbe, e non solo perché pare esserne una sorta di portavoce ufficiale, ma perché è grazie ai suoi video che LIBERATO si è costruito questa identità al confine tra stereotipo e avanguardia. In una bella intervista di Cristiano De Majo su Rivista Studio proprio a Lettieri, si legge «Non è la solita parodia del neomelodico, ma un uber-nelodico, trasversale, globale», lo stesso Lettieri poi dice, riferendosi a Napoli: «Innanzitutto è un luogo dove è ancora possibile ambientare storie classiche, shakespeariane, ci sono ancora i cattivi, c’è ancora il covo dei pirati ed è una città dove puoi ancora trovare il romantico». Tutto è perfetto nei due video di LIBERATO: dai tempi di scena, ai luoghi scelti, alla fisionomia dei protagonisti. LIBERATO potrebbe quasi essere considerato un progetto audio-video, che fa vivere i suoi testi di pari passo con le sue immagini. Che narrano di una Napoli romantica, ricca di topos letterali e di richiami alla napoletanità più arcaica e tribale.
Sappiamo poi che chiunque sia a lavoro con LIBERATO ha firmato un accordo di riservatezza che gli impedisce di divulgare anche la minima informazione. Di questo team parrebbe far parte una nostra vecchia conoscenza: Borut Viola, ex Scuola Furano, attualmente produttore di ottima musica con il moniker Bawrut. Borut – che forse si arrabbierà nel leggere queste righe – è un enorme conoscitore di musicale napoletana, di tutta la tradizione melodica partenopea e di tutte le innovazioni di cui abbiamo parlato. Conosce Napoli, conosce tanti napoletani e nella sua carriera ha dimostrato una ecletticità invidiabile che gli permetterebbe di produrre tranquillamente le strumentali di LIBERATO. Che sono tecnicamente impeccabili – qualcuno, maliziosamente, ha fatto notare che potrebbero essere fin troppo impeccabili, figlie di preset già costruiti – un punto in più a favore di Borut.
Sappiamo poi un’ultima cosa: questo weekend LIBERATO suonerà al Mi Ami, e – da quanto ci è stato detto – non lo farà stando sul palco, ma lasciandolo a un piccolo corpo di ballo e “rifugiandosi” dietro le quinte. In questa occasione qualcuno potrebbe vederlo, qualcuno potrebbe registrare qualcosa alla SIAE (da quello che ci risulta, nessuno l’ha ancora fatto) e si potrebbe svelare l’identità di LIBERATO.
Ma se così non fosse? Se LIBERATO, a conti fatti, non esistesse?
In molti hanno ritirato fuori, ironicamente, la storia di Elena Ferrante per parlare di LIBERATO. Il paragone tra i due è ovviamente fuori-fuoco, spinto ed esagerato da questo “mistero napoletano” che intriga tutti. Inoltre, la morbosa attenzione riservata alla Ferrante ha portato alla scoperta (così pare) del tanto agognato nome. Per LIBERATO, questo potrebbe non essere possibile.
Provo a spiegarmi, anche se questo potrebbe sembrare folle.
LIBERATO potrebbe non esistere. Potrebbe non esistere come persona fisica unica, ma potrebbe farlo come progetto collettivo corale, che ha i suoi capisaldi in Lettieri certamente, e nella scrittura di alcuni dei più importanti gruppi degli ultimi anni di musica napoletana e che col regista hanno più di un contatto. I nomi sono già circolati: Francesco Di Bella dei 24 Grana, Dario Sansone dei Foja, e ce ne sfugge di certo qualcuno. L’idea, dicevamo, è quella che LIBERATO potrebbe essere nient’altro che un collettivo di autori e artisti napoletani (e non) che ha come unico obiettivo la rivalutazione in chiave moderna della musica napoletana. D’altronde, è stato Lettieri il primo a citare Shakespeare. Questo (folle, ripetiamo) processo mentale ci porterebbe a non dover far più i conti col dilemma “grande nome che si ricicla o newcomer” e al poter accettare con serenità una simbologia rivoluzionaria che tutto il progetto LIBERATO ha estrinsecato in maniera più o meno palese. La rivincita di Napoli, insomma, potrebbe passare non più per un super-eroe mascherato, ma per uno Shakespeare di Forcella o di Piazza Mercato (o di Posillipo, chissà) che si è fatto cantore della sua città grazie alle sue voci più autorevoli. Questo poi spiegherebbe anche la diversità apparente tra le voci di “9 maggio” e “Tu t’e scurdat’ e me”, che forse sono colpa del pitch, forse no.
Il dilemma di LIBERATO potrebbe essere vicino ad una soluzione, oppure no. Magari è stato costruito per restare così, magari non uscirà allo scoperto neanche quando sarebbe il momento. Lo stato attuale dell’industria discografica lo penalizza, ma il fine ultimo di LIBERATO potrebbe essere diverso da ogni suo collega. Il fine ultimo di LIBERATO potrebbe essere l’autorevolezza della musica moderna napoletana e, in ultima analisi, Napoli, tra Forcella fino a Trentaremi.
Una ultimissima cosa: ai piedi del Vesuvio qualcuno dice che maggio è il mese dei napoletani. Maggio è il mese che LIBERATO ha preso come suo riferimento, col titolo del primo singolo, con la release del secondo. Maggio è poi, il mese delle rose che sono il simbolo di LIBERATO. Una piccola sciocchezza in più, per credere nel risorgimento napoletano.