di Claudia Maddaluno
L’Infedele nasce dalle ceneri dell’Egomostro: è un Egomostro risorto, irrisolto.
Ti parla il suo stesso linguaggio: la sacralità, il rito, qui ormai espliciti, a ben guardare erano già lì. Nel Cristo senza croce, in chi non porge più guance o in quel “passami il pane“.
È per questo che nel nuovo disco di Colapesce, l’Infedele è una più pura reincarnazione dell’Egomostro che fu.
«una montagna foriera
una necropoli intera
mi mette in mano la vita
quindi mi passa la morte»
Pantalica è il brano che ci introduce in questa dimensione di rinascita: una natura selvaggia, suggestiva, antica, suggerisce l’atmosfera di un rito, di un rito di iniziazione. La ritmica è quella tribale, i synth sono uno stordimento tantrico e preludio a qualcosa che sta venendo fuori, dalle ceneri, dalle rovine in cui l’Ego prima regnava.
Un Ego che ora fa la muta e rinasce in una nuova pelle.
«c’è stato un fuoco
in questa grotta bianca
esce un bambino
ha della cenere in mano»
Può sembrare un ossimoro ma l’Infedele è qualcosa di sacro che, anzi, per preservare la sua sacralità e la sua integrità non scende a patti con nessuno: l’Infedele, per sua stessa definizione non appartiene a nessuno, ma appartiene in realtà a noi tutti.
«siamo davvero tutti simili
sogniamo di essere compresi
diffusi, smaterializzati»
E la cosa che più ci accomuna e più ci allontana è quell’istinto a preservare noi stessi con la presunzione di essere compresi e, insieme, di comprendere gli altri.
Quante volte “ti vedo Ti attraverso ma non ti capisco“.
Siamo tutti il teorema irriducibile di qualcun altro, il suo miraggio pensionistico, la punta dell’iceberg che ci fa fare acqua da tutte le parti.
E tuttavia c’è qualcosa di tremendamente rassicurante in questa refrattarietà a lasciarsi decifrare. Ce lo dice questa melodia dolce del pianoforte, il buon odore di profumi chimici e l’entrata in scena del pop (che è cosa condivisa, ci mette tutti d’accordo, ci fa stare bene).
Siamo due mondi diversi che, alla fine, si ritrovano sempre in uno stesso ritornello.
«siamo nati tutti senza denti
tutti senza nome
come dei bambini
torneremo felici
torneremo felici»
La scrittura di Lorenzo non ha mai smesso di essere evocativa, di regalare delle immagini bellissime in cui potersi riconoscere. Ti mette davanti a delle verità molto semplici, che sono sempre state lì a portata di mano ma è il fatto stesso di portartele agli occhi che diventa disarmante. E, allo stesso tempo, Totale.
Totale, corale, sacrale.
Ci ritroviamo nell’unico vero momento di Comunione di tutto il disco.
κοινωνία: comunanza, partecipazione. Partecipazione sacra a tutto quanto è terreno.
«mi sento bene con le scarpe nuove
mi sento meglio se mi bacia il sole
se ho un nuovo disco da poter cantare
mi sento totale»
Ed è da qui che ripartiamo ad esplorare, che ripartiamo alla conquista dei sentieri più peccaminosi con nessun’altra aspettativa se non quella di voler ricolonizzare ogni volta le stesse rotte e doppiare il Capo di Buona Speranza.
Vasco da Gama è un brano che viene dal mare, altro elemento sacro che anche questa volta viene profanato con riferimenti terreni, carnali
«piena di grazia ti avvicini a me
efficace più di una preghiera
come il sale su una carne magra»
Ma è allo stesso tempo un brano di fedeltà, una dichiarazione di appartenenza ad un solo corpo: l’unico che si vuole circumnavigare e girare in lungo e in largo mentre una chitarra harrisoniana e libidinosa ti indica le rotte da seguire.
Scivoliamo così, lentamente, in una decadenza dolcissima. L’Ego si scalfisce e getta la spugna: Decadenza e Panna è una dichiarazione di resa.
«il muro aspetta le sue crepe
ci sono io che aspetto te
e quando ti vedo spuntare
si scioglie la mia verità»
E la verità è che di sbagliato ci sono anch’io. L’infedeltà, questa volta, è a un trasognato immaginario esotico che per una scelta di comodo preferiamo sacrificare al qualunquismo di un Negroni sbagliato. E così siamo tutti risolti con una foto scattata sotto al Duomo mentre lasciamo irrisolti i viaggi non turistici tra zebre, cobra e mistici.
Il ritornello, ancora una volta, mette insieme due mondi agli antipodi.
«E se tutto questo poi ci cambierà
sarò pronto e dividerò la torta in due
io festeggio te, tu festeggi me
soffia verso me, soffio verso te»
Siamo al momento in cui abbiamo davanti tante candeline quanti sono gli anni che compiamo, facciamo un breve ripasso di quanto è stato e scegliamo, tra gli altri, il desiderio che, spegnendo, andremo ad accendere.
Compleanno è il brano in cui è più tangibile la co-produzione di IOSONOUNCANE e di Mario Conte: l’atmosfera è scura, sintetica e funebre. Nel giorno in cui si rinnova la vita, si rinnova anche il mistero della morte. E restiamo Sospesi in un futuro di incertezze.
Torneremo felici? Risolti? Risorti?
La verità è che continueremo a prendere tempo per sfuggire alla verità, tempo per rispondere a tutte queste domande che assillano la nostra esistenza.
E resteremo sospesi nel limbo di una meravigliosa ballata che inizia da un piano alla Father John Misty o alla Tobias Jr Jesso e finisce come un pezzo di Piero Ciampi (pur mantenendo il cinismo di Father John Misty)
«Staremo sospesi dal 20 al 28 Dicembre
fanculo i parenti i regali gli auguri agli assenti
E il lasso di tempo in cui non lavoro mi dedico a te
mi dedico a te
ma a dirla tutta lo faccio soltanto
soltanto per me»
La pausa, in questi ultimi due versi, è tutto.
Per quanto puro possa essere diventato, per quanto possa essere rinato e aver attinto ad acque sacre, dal mediterraneo al Naviglio, per quanto possa aver sperato per se stesso, c’è qualcosa nell’Infedele che resterà per sempre irriducibile. E questa cosa è la sua stessa essenza: l’appartenenza a null’altro al di fuori di se stesso.
Infedele è un Egomostro risorto, irrisolto.
Tutte le foto sono di Elena Fortunati.
L’artwork di Alfredo Maddaluno.