di Borut Viola
Fabrizio per me è qualcosa di affascinante. So molto poco sulla sua persona e credo di non esserci mai conosciuti dal vivo. In più, il suo disco è molto bello, la sua storia intrigante e quindi devo sapere molte più cose a riguardo. Sono contento che DLSO mi dia l’opportunità di rompergli le scatole con alcune domande che altrimenti sarebbero finite nel dimenticatoio dato che mai mi verrebbe in mente di scrivergli in una chat privata.
Ciao Fabrizio, come va? Come prima cosa mi puoi spiegare questa cosa che fai il suono della sirena con il microfono durante i tuoi set? Ho visto che è piaciuto molto ma non so esattamente cosa sia.
Ciao Borut tutto bene! Un po’ assonnato, sono tornato da qualche giorno da un viaggio molto lungo e non faccio altro che dormire, a parte questo sono molto contento. La storia della sirena è antica, ho cominciato a farla da ragazzino, imitavo il suono della retromarcia della macchina di mio papà, era una Renault 14 e faceva questo suono acuto e lungo aaahhhnanananana…aaaahnanana… non so se hai presente! Per gioco mi sono accorto di riuscire ad arrivare molto in alto con l’intonazione e con il volume. Negli ultimi anni quel suono è diventato il leitmotiv dei miei set, il pubblico si diverte, io pure ed è un modo per rompere il ghiaccio, per creare un contatto. Due settimane fa ero a Los Angeles per una data, mentre lo facevo al microfono sento che qualcuno da dietro mi chiama, mi giro e c’era Boys Noize piegato in due dalle risate, mi ha stretto la mano e mi ha fatto i complimenti, per il set e anche per la sirena ovviamente.
Sublime. Effettivamente è una maniera ingegnosa e simpatica di lasciare il segno, tra l’altro abbracciando quella bellissima tradizione italiana del vocalist (sto scherzando ovviamente) e portandola così nel tuo personale livello. Parlando di Italia sono curioso di sapere quanta Italia e quanto Mondo ci siano nelle tue produzioni, ho alcune idee e spesso il tuo disco mi ricorda a tratti un periodo glorioso dei primi 2000 ma voglio sapere di più
Che domanda complicata. Musicalmente sono onnivoro e credo che dal disco si capisca anche! Di italiano c’è un po’ del cantautorato di livello dei primi ottanta, penso a Lavezzi, Tempera, Radius, un po’ di italo disco, ma manco troppa, forse più cosmic o kraut. Dall’estero ho ascoltato tanta fusion, cioè, rock o funk e latin mischiati al jazz. Mi piace mischiare le carte più che rimanere in una singola corrente, tanto ormai è stato detto un po’ tutto su ogni singola corrente, credo che sia difficile inventare qualcosa.
Appunto. Aggiungo, ho sentito spesso associare la parola Italo Disco e mi sembra un gran refuso. Come se qualsiasi cosa sia italiana e danzereccia per forza deve fare leva su questo passato “glorioso”. Mentre ho sentito molto Lavezzi, Pulga se vuoi –visto le collaborazioni con Lavezzi– e l’uso di un basso suonato in “I’m Ready” di Kano. E la bellissima “Hotel Riviera”, oltre alla citazione a quel Signore scorbutico romano a me ricorda pure una Mina in “L’importante è finire”, almeno la strofa. Poi arriva la Banda Bertè. Tu suoni qualche strumento? Penso che uno dei marchi di fabbrica di questo disco sia questo “basso+fuzz”, può essere? È molto bello e pur essendo molto presente nel disco è l’elemento che “mischia le carte” nei tuoi brani. Visto che ho letto che tutto il disco è suonato, come hai lavorato? Hai avuto molti strumentisti che ti han dato una mano?
Sì, suono un po’ la chitarra ed il basso, e qualcosina sul piano almeno in teoria. Mettere insieme dei pezzi così diversi non era semplice, ci volevano degli elementi comuni ed il suono di basso è stato uno di questi, insieme alla batteria. Sono contento che questo aspetto si noti. Il disco l’ho suonato quasi tutto da solo, ho un piccolo studio in casa. Poi Alex Semprevivo alla batteria e Paco Carrieri al piano e tastiere hanno completato il lavoro, in alcuni casi ricalcando le linee che avevo già disegnato, in altri venendo fuori con delle idee da zero come nel caso di “Hun”. Ho lavorato ai mix insieme a Peppe Petrelli al Posada Negro di Lecce, abbiamo fatto quasi tutto in analogico, termine così abusato di questi tempi, ma mai cosi appropriato nel nostro caso: compressori veri, equalizzatori veri, emozionante. E per finire, ho lavorato i master per l’uscita digitale. One man band insomma!
Visto che so poco e vorrei approfondire, il tuo percorso accademico ti ha aiutato nella pratica oltre che nella teoria per la stesura del disco?
Leggo di un PHD in Vibration Dynamics ed oltre ad esserne affascinato però non ho molte idee chiare a riguardo…
Mi ha aiutato tecnicamente nel trattamento del suono in studio, alla fine di vibrazioni si parla. E poi studiare argomenti così complessi mi ha aperto la mente, mi succede di parlare di musica, di pittura o di scultura come se fossero la stessa cosa, non so come spiegarti. In fondo c’è un’unica legge di fondo.
Sì, io la chiamo spesso la legge dei numeri o matematica. Spesso appunto non capendo molto le basics della pittura scopro che comunque si parla in un qualche modo di dinamiche che si muovono parallele e nella stessa direzione. Tutto quello che è Jolly Mare – Mechanics è stato disegnato e gestito da te?
Sì, il progetto grafico è mio, ho modellato le statuine con le mie manine e Carmen Mitrotta le ha fotografate (alla grande). Anche l’impaginazione, ho fatto tutto da solo, non è stato facile, ma volevo che andasse cosi, mi porto dietro questo sogno da quando avevo vent’anni, fare un disco in cui suono, canto (in Hotel Riviera ci sono anche io) e faccio le grafiche.
E ti è venuto fuori tutto molto bene! Visto che prima parlavi di Lecce ho alcune cose da chiederti sulla tua terra. Sei legato a Lecce/Salento? Per te è (stato) importante vivere lì? Io che vengo dalla provincia l’ho sempre ritenuto un vantaggio, poi adesso ancora di più però tu magari non sarai d’accordo.
Sì, sono molto legato, giro rigiro ma poi torno sempre qui. E si sente dalla musica che scrivo, credo. In provincia arriva tutto in ritardo, la provincia ti fa partire in svantaggio, ma ti mette dentro anche tanta voglia di farcela, ti abitua a lavorare al doppio per poter sperare di emergere. Alle superiori ero quello che veniva dal paesello per frequentare la scuola in città, all’università, il terrone che studiava a Milano, ora quando sono all’estero spesso mi trattano con sufficienza, l’italiano. Al liceo però ero tra i primi della classe, ho avuto una carriera universitaria brillante, i miei set e le mie produzioni fanno la differenza, dopo tanti anni passati a sgobbare posso dirlo: andatevene affanculo voi snob con i vostri circoletti e le vostre elite in cui vi crogiolate fino a friggervi. I vostri preconcetti diventano la vostra rovina.
Restando in Puglia vorrei chiederti ancora alcune cose. In generale “il pugliese” lo trovi dappertutto, Perugia/Roma/Milano/Bologna c’è sempre “il tipo di Bari” che organizza le feste. È molto riduttivo e generalista come incipit, concedimelo. Tolto questo però ho una visione sulla tua regione come di un paradiso per musicisti.È vero o sono stato fuorviato e appunto invidioso di chi vive in dei luoghi oggettivamente belli? Avevo letto questa cosa che al SXSW oltre al banchetto Italia che spingeva i suoi in pizzeria, la regione Puglia da alcuni anni, da sola, promuove le proprie realtà locali. Mi sembra da esterno una cosa molto bella e “avanti” per i contesti italiani. In più ci sono molti artisti qualitativamente importanti che vengono dalla Puglia, Nicola Conte ad esempio (pensando ad alcune sfumature e periodi che mi ricordano il tuo disco) e pure Populous, Dj Khalab, Congorock…. è vero? In generale c’è attenzione verso i “giovani”?
In Puglia c’è molta attenzione verso la musica indipendente, chi promuove queste iniziative ha i suoi buoni motivi per farlo. Talenti tanti, è un dato di fatto. Non so se i due aspetti siano collegati.
Ultima domanda e mandiamo a casa tutti! La prima volta che ho sentito il tuo nome sono andato a sentirmi cose tue e vedere dei video, c’era un ragazzo che faceva degli scratch con serato sopra della bella musica (non ricordo cosa fosse ma non era roba dozzinale electro ad esempio). Poi leggo della RedBull Music Academy, di un set al Sonar con “A me me piace o blues” credo in chiusura e gran pacche sulle spalle e adesso un disco, sarò ripetitivo, molto bello e differente nella stesura e nei suoni, soprattutto in tempi di control C/control V selvaggio. In poche parole, ne hai fatta di strada e ti sei formato con quintalate di classici e generi vari e “Mechanics” ne è il bel risultato.
Ti sei pure fatto un po’ una idea sul music biz? Oltre alla qualità serve una buona quantità di contatti che faccian da cassa di risonanza, è indubbio. Come vivi questa parte non direttamente controllabile da te e dal tuo lavoro? Zen o Everyday Struggle?
Sono allergico al music business, e tra le due opzioni… Zen senza dubbio! Fossi stato il contrario, avrei fatto molta più strada fino ad adesso, ma non importa, mi va bene così. Preferisco procedere lentamente, con trasparenza. In questi pochi anni è successo di trovarmi gomito a gomito con grandi artisti, personaggi influenti o addirittura leggende della musica, veramente tanti. Ma nelle relazioni artistiche, personali così come in quelle di coppia, valgono più o meno le stesse regole: una ragazza lo capisci se ti piace o meno, puoi farti un’idea se ci vai d’accordo, e per me è la stessa cosa nel lavoro. Se c’è intesa, passione, qualcosa succede. Altrimenti, se è solo interesse, è inutile pressare, anzi può diventare controproducente. Meglio lasciare che le cose accadano naturalmente, spontaneamente, puntando prima di tutto a dare il meglio di sé. Penso che parta tutto da lì.